mercoledì 8 aprile 2020

4. Padre, nelle tue mani affido il mio spirito


Ed era già circa l’ora sesta
e si fece buio su tutta la terra
fino all’ora nona,
essendosi eclissato il sole;
il velo del tempio si squarciò nel mezzo.
E Gesù, esclamando a gran voce, disse:
«Padre, nelle tue mani affido il mio spirito».
Ora, detto questo, spirò.
(Lc 23, 44-46)

Sulla croce Gesù prega ed è ormai vicino alla morte. Si sente uomo fragile e mortale, umiliato dai nemici, schernito dagli avversari come uno scarto da buttare, calunniato e condotto alla morte, ma proprio di fronte a quest’ora vuole fare della morte che gli viene incontro un atto puntuale. Non vuole essere semplicemente preda della morte, subendola come un fato, ma, nella consapevolezza di aver ricevuto la vita da Dio, ora vuole restituirgliela e non viverla passivamente. Nessun eroismo, ma solo l’obbedienza alla fede. Gesù, con fede, chiama Dio come lo ha sempre chiamato nei giorni felici, “Padre”, perché ha la certezza di essere suo figlio amato, di essere da sempre ascoltato, quindi di non essere confuso o deluso, di non essere preda del non-senso. Gesù esprime la sua speranza: la morte non sarà l’ultima realtà perché da Dio gli attende la salvezza piena promessa al Messia. Egli si trova lì non per volere di Dio ma per decisione degli uomini che non sopportano chi è giusto e fa la volontà di Dio e lo opprimono fino ad ucciderlo. Passione e morte sono il passaggio per entrare nella gloria di Dio e per questo depone la sua vita nelle mani del Padre. Gesù non ha mai disperato e al Padre che fa silenzio risponde mettendo tra le sue mani il respiro che egli sta lasciando.
Questa è l’obbedienza di Gesù, la sua confessione di creatura fragile e mortale, la sua accettazione della morte ineludibile per ogni vivente, la sua piena fede in Dio che riceve nelle sue mani il suo soffio, la sua vita, e non la lascerà cadere nel nulla, nel vuoto. Restituisce al suo donatore questa sua vita “donata”, consumata dalla missione affidatagli da Dio stesso, quella vita nella quale ha amato fino all’estremo.
Questo il sacrificio autentico di Gesù: ha offerto puntualmente a Dio il proprio corpo quale sacrificio vivente, vero culto a Dio, liturgia secondo la Parola. In questa preghiera c’è l’”amen” alla vita e alla morte detto dal Figlio nella libertà, sigillo su un’esistenza che è stata un ininterrotto compiere la volontà di Dio: volontà che gli chiedeva di dare la vita per gli altri e di radunare i figli di Dio dispersi.
Dopo questa offerta. Gesù spirò. Se Gesù si è sentito abbandonato da Dio, si è però abbandonato tra le sue braccia, confidando che egli avrebbe accolto il suo soffio vitale. Così si è offerto al Padre e ha mostrato di aver speso la sua vita per tutti gli esseri umani, suoi fratelli e sorelle. Vivere, infatti, significa in primo luogo saper accogliere e ricevere la vita che ci è stata donata, che nessuno di noi può dare a sé stesso. Ma significa anche donarsi, consegnarsi, offrire sè stessi agli altri: questa è la vita in pienezza!
Di fronte alla morte di Gesù, noi suoi discepoli e discepole, chiamati a conformarci a lui nella vita e nella morte, dobbiamo interrogarci: saremo capaci di fare della nostra morte un atto, come lui ha fatto? Sapremo dire, come tanti fratelli e sorelle segnati dalla santità: “Signore ti ringrazio per avermi creato e ora nelle tue mani affido il mio respiro?” . Nessuno di noi sa come morirà, se nella pace o nelle sofferenze strazianti, se improvvisamente o al termine di una malattia, se nella pienezza della coscienza o in preda all’assopimento. La morte resta un terribile enigma, del quale molti hanno paura, grande paura. 
Ebbene, questa parola di Gesù ci insegna a far passare la morte da enigma a mistero, cioè a verità che si apre a noi e ci fornisce senso, dunque speranza e consolazione.
Il credente, in ogni caso, può credere che nella morte non sarà solo, che troverà Gesù, il quale lo ha preceduto in quel “passaggio”: lo troverà al di là della morte, quando il soffio consegnato al Padre sarà convertito, cambiato in Spirito, il santo Soffio che è via eterna, che è amore capace di vincere la morte.

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