domenica 23 dicembre 2018

Introduzione alla Liturgia della Parola - 25 dicembre 2018




Natale. Cos’è Natale se non Dio che si è fatto dono di se stesso a noi.
Cos’è Natale se non questo dono del tutto speciale e unico.
Cos’è Natale se non Dio fatto uomo. Natale è Dio fatto carne. Natale è Dio che si fa come uno di noi e viene tra noi. Natale è Dio che che si fa dono. È Dio che viene come amico, come fratello, come uno che viene ad aiutarci, a consolarci, a volerci bene. Natale è Dio che diventa compagno di vita.
Tutta la liturgia della Parola della Messa del giorno di Natale ci aiuta a comprendere questo grande mistero dai secoli annunciato, e che è più reale e concreto di quanto noi possiamo capire.

La lettura del profeta Isaia (Is 8,23b-9,6a) vuole evidenziare la differenza tra passato e futuro, grazie all’uso dell’immagine contrastante luce-tenebre. Le tenebre, simbolo di caos e morte che dominavano prima dell’atto creativo di Dio, lasciano spazio alla luce che è vita, è colore, è presenza di Dio. Questa nuova situazione provoca gioia, una gioia che abbraccia tutta la vita, più grande della pace e più duratura di ogni tipo di vittoria. E i motivi della gioia, per Isaia, sono ben chiari. La liberazione dall’oppressore straniero, la fine della guerra, la nascita di un figlio. In particolare, quest’ultimo motivo è l’evento che provoca sia la fine dell’oppressione che la pace: è nato un bambino-per noi, un “Emmanuele”, che siederà sul trono di Davide, chiamato a portare pace, diritto e giustizia. Un bambino che ha un futuro senza fine anche se nasce dalla dinastia regale davidica.

L’epistola agli ebrei (Eb 1,1-8a) nel suo inizio pronuncia la fede nell’incarnazione di Dio, e prova a descrivere la natura divina e umana del Figlio, di Gesù. L’incarnazione del Figlio non è altro che il compimento del disegno pensato da Dio prima ancora della creazione, ed è l’ultima parola della sua rivelazione d’amore. È per questo che con Gesù si conclude la rivelazione di Dio, o meglio, raggiunge il suo apice. Gesù è Dio, Gesù è il Signore. 

Il vangelo di Luca (Lc 2,1-14) narra la scena della nascita di Gesù e l’annuncio ai pastori. Vengono quindi narrate le circostanze anche storiche della nascita di Gesù secondo le meticolose ricerche di San Luca. La manifestazione del bambino ai pastori comprende il messaggio angelico e il canto degli angeli stessi. I pastori ci ricordano l’umanità di Dio che si fa carne. I pastori di Betlemme, cittadina insignificante di Giuda, sottolineano ancor di più una umanità povera ed emarginata nella quale Dio ha voluto farsi presente.
E Dio, con l’annuncio degli angeli, dice del suo volersi donare al mondo in un bambino che diventerà per la storia umana il Salvatore, il Messia e il Signore. È lui la fonte della vera gioia che è di tutto il popolo, ed è questo che viene annunciato ai pastori.

Possiamo anche noi cogliere la vera gioia nel Natale del Signore, nel dono di Dio che si fa carne, si fa a noi prossimo. Cos’è Natale se non un dono speciale e unico per ciascuno di noi? È Dio che si fa noi. Sia questa la vera gioia di questo giorno. Così sia!

23 dicembre 2018 - ComUnità n.16 anno VI



giovedì 20 dicembre 2018

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 23 dicembre 2018


Introduzione alla Liturgia della Parola - domenica 23 dicembre 2018

Introduzione
La VI domenica di Avvento è chiamata anche «Domenica dell’Incarnazione». È una festa molto antica, che viene celebrata fin dal sec. IX. 
L’Incarnazione di Gesù è sottolineata nella liturgia dal gesto che siamo invitati ad anticipare già oggi, un gesto che compiremo anche a Natale: la liturgia ci invita non solo a inchinarci profondamente, ma a genuflettere, quando nella proclamazione del Credo, pronunceremo le parole: «E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo». 
Prepariamoci, dunque, a vivere con fede anche questo gesto, tipico di questa domenica.

1.   Prima lettura
La prima lettura di questa domenica – un brano del profeta Isaia – non è molto semplice.
Il brano è un insieme di messaggi, che il profeta mette sulla bocca delle sentinelle, appostate giorno e notte, sulle mura di Gerusalemme. 
Che cosa devono annunciare queste sentinelle?
Esse devono ricordare al popolo di «preparare la strada … spianare il sentiero», affinché i figli dispersi di Israele possano rientrare nella città sani e salvi. 
In secondo luogo, queste sentinelle devono anche ricordare agli abitanti della città che il Signore è fedele e manderà presto il salvatore. 
Infine, c’è un dialogo tra le sentinelle e un misterioso personaggio, che si presenta alle porte della città. Le sentinelle domandano: «Chi è costui che viene da Edom, da Bosra…» (è un po’ come il grido tipico della sentinella: «Chi va là»?). Lo straniero non ha bisogno di dire il nome; gli basta presentarsi con le sue caratteristiche: «Sono io, che parlo con giustizia e sono grande nel salvare». È subito chiaro che si tratta di YHWH. Il dialogo si concentra, poi, sulla sua veste, macchiata di sangue. È il segno della lotta che Dio ha dovuto sostenere per il suo popolo. E Dio sottolinea che Egli ha dovuto sostenere da solo questa lotta; ha combattuto senza l’aiuto di nessuno.
Il messaggio è chiaro. La salvezza dalle potenze dell’oppressione, cioè, da ogni forma di male: la salvezza, che celebreremo nel Natale imminente, non scaturisce da un’azione del popolo, ma di Dio. 

Possiamo ricordare come frase sintetica di questa lettura: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, arriva il tuo salvatore”».

E possiamo rivolgere a noi stessi una domanda: mentre siamo nell’imminenza del Natale, dell’ingresso nella nostra storia di questo Bambino, paradossalmente «grande nel salvare», quale consapevolezza abbiamo e coltiviamo del nostro bisogno di essere salvati e amati dal Signore?


2.   Seconda lettura
Il brano della seconda lettura è preso dall’ultimo capitolo della lettera di Paolo ai Filippesi. È un’esortazione che alla gioia: una gioia che ha origine dal Signore; che nasce, cioè, dalla consapevolezza di essere inseriti nel piano di salvezza di Dio. 
Questa gioia prende origine nel cuore della persona, ma si rende visibile in una serie di qualità umane, che rendono gradevole l’incontro con la persona: ad esempio, dice Paolo, gentilezza, magnanimità, affabilità nel tratto. 

Opposta alla gioia è, invece, l’ansietà, che rovina il clima della gioia comunitaria. 
La soluzione, proposta da Paolo, per evitare questa ansietà, è la preghiera insistente. Unita all’atteggiamento del «rendimento di grazie», questa preghiera, sempre umile, ci ricorda come anche il nostro domandare stia all’interno dell’iniziativa benevola di Dio, che ci precede.

Possiamo allora ricordare, come frase-guida, questa: «In ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti».

Possiamo rivolgere, poi, a noi stessi una seconda domanda: «Sono intenzionato – almeno intenzionato! – ad avvicinarmi alla venuta di Gesù nel Natale, in questi ultimi giorni, con una preghiera più intensa, che si fa ringraziamento e supplica»?

3.   Vangelo
E veniamo, infine al Vangelo di questa domenica. È una pagina molto familiare: il racconto dell’angelo Gabriele, che annuncia a Maria che sarebbe diventata la madre di Gesù. 
Dopo la festa dell’8 dicembre scorso – cioè la festa di Maria, considerata come Immacolata –, ora, a pochi giorni dal Natale, la Chiesa ci invita a volgere di nuovo lo sguardo a Maria, contemplata oggi come la Madre di Gesù. 

In sintesi, della sua vicenda di fede, possiamo contemplareun aspetto e imitarne un altro.
C’è un aspetto, che non possiamo imitare, ma che possiamo solamente contemplare con stupore: è la sua maternità fisica! Unicamente Maria di Nazaret ha potuto sperimentare nella carne che cosa significhi mettere al mondo il Figlio di Dio.
L’altro aspetto, che possiamo invece imitare, è il desiderio di aprire il cuore a Gesù. Maria ci mostra che cosa significhi la disponibilità totale al Signore Gesù. Diceva S. Agostino, con una intuizione veramente profonda: «Maria fece la volontà del Padre e la fece interamente; e perciò vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo, anziché madre di Cristo».

Possiamo ricordare, come frase-guida, la risposta di Maria all’angelo, che tutti certo ricordiamo a memoria: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua Parola». Possiamo rivolgere, infine, a noi stessi un’ultima domanda: «Come Maria, nella sua povera casa, a Nazaret, so creare attenzione e disponibilità; mi rendo pronto ad accogliere (e a seguire, facendo la sua volontà) la Parola di Dio, che mi raggiunge anche nella mia casa, nella mia quotidianità?

sabato 15 dicembre 2018

Introduzione alla liturgia della Parola di domenica 16 dicembre 2018

Ritroviamo in questa quinta domenica di Avvento la figura di Giovanni il Battista e la liturgia della Parola ci invita a leggere la sua figura non solo in ordine alla comprensione che in Gesù le Scritture e le profezie sono compiute, ma anche come modello per vivere la spiritualità dell'Avvento.

La prima lettura, tratta dal capitolo 30 del profeta Isaia, ci parla della speranza e della salvezza offerta dal Signore al suo popolo, purché ritorni a manifestare la sua fiducia in lui. Il profeta si rivolge alla comunità ebraica di Gerusalemme promettendo in nome del suo Signore e maestro il termine di ogni sofferenza. Dio si svelerà agli occhi e agli orecchi di Israele indicando la via della giustizia da seguire. Il popolo pubblicamente e con forza deve prendere le distanze da quegli idoli dai quali sperava la fecondità e il benessere e che non sono altro che immondizia. Pioggia, buon seme, pane, bestiame, cibo abbondante per gli animali e prosperità sono solo dono del creatore e unico Signore. 
La scena poi si sposta su un orizzonte che guarda al compimento messianico, al compimento della storia: il giudizio divino sul male, la straordinaria esplosione di luce che proviene dal sole e dalla luna e il gesto di tenerezza e di cura amorevole di Dio verso il suo popolo, ferito a causa del peccato.

Il salmo 145 (146) è un inno di gioia e di lode in onore del Dio fedele e liberatore scandito da  acclamazioni che evocano le sue azioni nella storia: custode della fedeltà, operatore di giustizia per gli oppressi, datore di pane agli affamati, liberatore dei prigionieri, colui che apre gli occhi ai ciechi, colui che rialza chi è caduto, amante dei giusti, protettore dello straniero, colui che sostiene l'orfano e la vedova, colui che sconvolge le vie degli empi e regna per sempre. In questa lode in onore del Signor si ribadisce la necessità della scelta di fede: o si confida nei potenti o si spera nel Signore. I potenti sono uomini e quindi fragili, destinati alla morte, non possono garantire la salvezza. Dio, invece, è eterno ed è il solo capace di sostenere e offrire salvezza a coloro che credono in Lui.

La seconda lettura ci consegna la riflessione di Paolo che, partendo dalla sua esperienza, ci ricorda che il ministero apostolico deve avere come caratteristiche fondamentali la sincerità e la fedeltà alla verità della parola divina. Solo così diventa luce per chi vi si affida, mentre rimane tenebra per chi ha scelto di servire il dio di questo mondo. La luce di Cristo trasforma il fedele, avvolge il suo cuore. Il compito di annunciare il Vangelo è di conseguenza di straordinaria importanza, è il più alto di tutti.

Le parole del vangelo secondo Giovanni le troviamo subito dopo l'incontro con Nicodemo e subito prima dell'incontro con la Samaritana e ci ripropongono la figura di Giovanni il Battista. Si ribadisce la sua funzione di testimone di Cristo, così da smorzare sul nascere qualsiasi tentazione, presente in alcuni gruppi contemporanei all'evangelista, di attribuire un qualche primato al Battista. L'immagine dell'amico dello sposo, con il quale si descrive Giovanni, viene dalle consuetudini nuziali del popolo giudaico; era colui infatti che teneva e curava i rapporti ufficiali con il futuro sposo durante il fidanzamento: lo sposo è Gesù ed è al centro della scena, il Battista è in funzione di Lui e deve lasciargli umilmente lo spazio. 
Il brano si conclude con un'esaltazione della figura di Gesù, colui che viene dal cielo, porta la rivelazione del Padre, effonde lo Spirito santo ed è Signore di tutte le cose per incarico del Padre che lo ama. La scelta di fede nei suoi confronti genera nell'uomo la vita piena, la vita eterna, cioè la stessa vita in Dio; la scelta del rifiuto è, invece, radice di giudizio e di perdizione. 

Quali sono i tratti della spiritualità dell'Avvento che ci vengono dall'ascolto di questa Parola?
Solo la conversione del cuore permette di scorgere nelle pieghe della storia la luminosa presenza dell'opera di Dio, da qui nasce la lode per questo Dio che non si mentina del suo popolo, che non si dimentica di nessuno. Paolo può testimoniarlo di persona. La luce di Cristo ha trasformato la sua passione per la Legge in autentica dedizione all'annuncio fedele e sincero del Vangelo.
L'umiltà di Giovanni ci chiede di volerci bene per quello che siamo scoprendo che la fedeltà al nostro vissuto quotidiano è lo spazio vitale del nostro cammino di santità.

Inizia la novena di Natale ci è donato ancora del tempo per fare pulizia da qualche idolo che crea disordine o, come direbbe il profeta, immondizia nella nostra vita. 
Proviamo a scrivere un testo di lode al Signore per le opere che ha compiuto nella nostra vita.
Ci chiediamo se la luce di Cristo avvolge il nostro cuore o se ci ritroviamo più distratti da altre luci, solo apparentemente più vivaci o colorate.
Ringraziamo il Signore perché ancora visita la nostra vita, nessun cuore sia troppo piccolo per accoglierlo, ma certamente un cuore umile sarà la dimora privilegiata.



mercoledì 5 dicembre 2018

Introduzione alla liturgia della Parola di domenica 9 dicembre 2018



Introduzione alla liturgia della Parola di domenica 9 dicembre 2018 - anno C

La quarta domenica di Avvento ci invita a riflettere e a contemplare l’ingresso del Messia. Questo tema esplicita il significato profondo dell’Avvento, che non può essere ridotto solo alla preparazione al Natale, ma ci educa a quell’atteggiamento tipicamente cristiano della vigilanza. Il Signore viene, il Regno di Dio è vicino e i cristiani riconoscono questa presenza e ne attendono il compimento.
La prima lettura tratta dal profeta Isaia ci riporta alla radice profonda del desiderio di Israele di attendere il Messia: il popolo di Dio è stato conquistato, devastato e deportato e a Gerusalemme c’è solo qualche superstite, un “resto d’Israele”. Ma Dio è fedele anche a quel che resta del suo popolo, non viene meno la promessa fatta a Davide di un regno che non avrà fine. Ecco perché il Messia sarà un discendente di Davide, perché sarà il segno che Dio mantiene le promesse. Il tronco di Iesse che sembrava essere abbattuto è ancora capace di dare germogli. Il Messia, figlio di Davide, ha l’umiltà, la fragilità, la delicatezza di un germoglio, primavera della storia! Secondo la profezia di Isaia, il Signore compirà due azioni attraverso il suo inviato: laverà le brutture con il soffio del giudizio: è l’invito alla conversione ma anche il dono del perdono; e poi proteggerà il suo popolo, come aveva fatto durante il cammino nel deserto dell’Esodo, con una nube che copre di giorno e una luce che illumina di notte. Dio non lascia mai solo il suo popolo e lo visita con le sue benedizioni.
Il testo tratto dalla Lettera agli Ebrei, sottolinea un altro aspetto del Messia mandato da Dio: Gesù “è coronato di gloria e di onore” non per la sua forza e il suo potere ma “a causa della morte che ha sofferto”. Il Messia sofferente, inaspettato e incompreso, mostra tutta la vicinanza di Dio per i suoi figli, per loro si compromette, sperimenta il dolore, attraversa la morte. “Per questo non si vergogna di chiamarli fratelli”! Gesù è il Messia fratello, è “il volto della misericordia del Padre” (papa Francesco), è il Dio vicino. Eppure questa partecipazione alla sofferenza non ha sconfitto l’amore di Dio, Cristo attraverso la croce, il dono della sua vita, “ha ridotto all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere”. Gesù Cristo, il Crocifisso Risorto, vero Dio e vero uomo, attraverso la logica del dono gratuito di sé, ha scardinato la condanna del peccato, ha inaugurato il tempo della salvezza dando speranza all’uomo. L’avvento vive di questa speranza e attende questa pienezza.
Infine, il Vangelo ci presenta l’ingresso di Gesù a Gerusalemme secondo la redazione lucana. Testo solitamente destinato alla domenica delle palme, è posto qui, nel cuore dell’avvento, per ricordarci che Dio entra nelle nostre città e nella nostra vita, perché lui è il Messia, il Signore! E Gesù entra nella città santa cavalcando un puledro, segno di pace. Questa umiltà non impedisce alla gente di riconoscerlo come il Figlio di Davide, come l’atteso: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore”. Gesù viene nel nome del Padre che ama e perdona, viene re di pace, che riconcilia a rappacifica l’uomo con se stesso e con gli altri. 
In questa quarta domenica di Avvento la Liturgia della Parola ci invita a prendere posizione: Chi attendo per la mia vita? Chi sto aspettando perché le mie giornate abbiano senso, perché la mia vita sia piena? Ancora più profondamente: chi è il mio Signore, il mio Messia? 
Il Signore viene, come un germoglio inaspettato, come un fratello vicino, come un ospite atteso, e viene oggi e chiede di essere riconosciuto a e accolto. 
Buona continuazione di Avvento!

mercoledì 28 novembre 2018

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 2 dicembre 2018


Introduzione alla Liturgia della Parola - domenica 2 dicembre 2018 
III domenica di Avvento - anno C

Stiamo per celebrare la terza domenica d’Avvento, quella che apre la settimana che ci pome a metà del cammino di preparazione al Natale. Il titolo di questa domenica è “Le profezie compiute”. Veniamo invitati a guardare con interesse a Gesù quale compimento delle Sacre Scritture, come già preannunciato dall’evangelista Marco nella pericope di domenica scorsa quando citava Malachia e Isaia introducendo la figura di Giovanni il Battista. 
Le letture di oggi ci insegnano a pensare i profeti e a considerare l’Antico o Primo Testamento come preannunzio di Gesù Cristo. 

La lettura è tratta dal libro del profeta Isaia (Is 45,1-8). Viene narrato un oracolo su Ciro, eletto del Signore. Ciro, re di Persia, è presentato nella profezia come strumento nelle mani del Signore Creatore, presentato come nuovo Davide per Israele. Questo dovrebbe portare Ciro il persiano a riconoscere il Creatore come unico Dio della storia «perché tu sappia che io sono il Signore, Dio d’Israele, che ti chiamo per nome». Tutto ciò che su Ciro è profetizzato, compreso il regno e le ricchezze, sono solo opera di Dio, anche se non è conosciuto dai persiani. La profezia si conclude poi con l’inno di benedizione che la liturgia e il canto utilizza per esprimere l’attesa del Salvatore: «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia».
Il Signore compie la sua promessa sempre in modo imprevedibile e creativo. Come il sorgere di Ciro apparve agli occhi dei contemporanei del profeta una cosa imprevedibile, così noi siamo testimoni di quanto Dio Padre abbia portato a compimento la sua Parola in Cristo Gesù e nel suo avvento.

L’epistola è tratta dalla Lettera ai Romani (Rm 9,1-5). In questi pochi versetti Paolo vuole descrivere personalmente e senza trattenere i propri sentimenti il problema di Israele ad accogliere Gesù come Messia. E lo fa descrivendo Israele come popolo privilegiato, che possiede l’adozione a figli, la gloria, l’alleanza, i patriarchi… ma soprattutto che ha dato origine nella carne a Cristo Gesù, Dio che è sopra ogni cosa. Israele aveva già tutte le caratteristiche perché tra di esso nascesse il Cristo. Era già previsto, era già scritto, ma non tutti lo hanno riconosciuto. E per questo Paolo soffre. Lui, da israelita doc, ha capito il valore di elezione del popolo d’Israele e per questo ha scelto, riconoscendo Gesù quale anello di congiunzione tra la fede d’Israele e l’anelito a Dio presente in ogni uomo.

Il brano evangelico tratto dal capitolo 7 di Luca (Lc 7,18-28), si apre con il dubbio e la richiesta di chiarificazione che Giovanni il precursore rivolge in modo indiretto a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» La risposta di Gesù non si fa attendere, anzi, si fa azione e ri-creazione guarendo molti. Poi la risposta si conclude concretamente con le parole che rimandano al profeta Isaia: Gesù è già in questo modo compimento delle profezie.
Poi è Gesù a porre domande alle folle, chiedendo cosa hanno visto del profeta Giovanni. Il profeta generalmente si ascolta, non si guarda. Ecco qui l’invito a guardare con gli occhi di Dio ciò che si sta compiendo nella storia, i segni che Lui continua a seminare nella nostra vita. 
La frase enigmatica al versetto 23, una strana beatitudine, ci svela chiave di lettura di tutte le Scritture alla luce di Gesù: «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». La continuità tra la Scrittura e Gesù non si comprende dalla scrittura stessa, ma dallo scandalo della croce e dalla risurrezione. Ecco su cosa profetizzava Giovanni il precursore: sullo scandalo che sarebbe stato Gesù per Israele: non un re vittorioso, ma un Dio che è amore e che si è incarnato per dimostrarcelo. Ecco perché il Precursore è il più grande tra i profeti: non si è fermato all’apparenza degli avvenimenti, è andato in profondità. Ha ascoltato Dio che era presente nella sua vita in modo straordinario nell’ordinario.

E noi sappiamo cogliere nell’ordinarietà della vita lo straordinario di Dio? Dio sta per venire. Accorgiamocene!


giovedì 22 novembre 2018

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 25 novembre 2018


Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 25 novembre 2018 - anno C
La seconda domenica di Avvento del rito ambrosiano si intitola: «I figli del regno».
Questo titolo vuole ricordarci che la venuta di Gesù, di cui facciamo memoria nel Natale e che aspettiamo realmente per la fine dei tempi, è per tutti gli uomini e le donne. Tutti sono chiamati ad essere «figli» del Regno che verrà e che Gesù ha già inaugurato.

1.   La prima lettura è tratta dal cap. 19 del profeta Isaia.
È un testo di grande apertura universale. In esso, infatti, Isaia annuncia che anche l’Egitto e l’Assiria – popoli stranieri e nemici di Israele – sarebbero diventati «popoli di Dio»
Il brano si compone di cinque affermazioni, tutte introdotte dalla clausola «in quel giorno»: la clausola allude a un tempo futuro, nel quale la storia assumerà un nuovo volto, voluto e attuato da Dio. 
Sarà un tempo, in cui tutti i popoli – riassunti nei due grandi popoli dell’Egitto e dell’Assiria – conosceranno e serviranno il Signore. 
Sarà un tempo in cui le strade collegheranno i popoli non per scopi di con­quista, ma per rapporti pacifici tra genti divenute amiche.
Raccogliamo il messaggio di questa lettura in una frase del profeta: «In quel giorno … Israele sarà una benedizione in mezzo alla terra», perché si farà mediatore della conoscenza di Dio e di pace.
Israele può essere letto come segno della Chiesa e di ciascun cristiano.
Possiamo, allora, rivolgerci una domanda: ogni uomo o donna riesce davvero a «benedire» il Signore, quando incontra la nostra comunità cristiana? E anche quando incontra ciascuno di noi?

2.  La seconda lettura è tratta dalla lettera di San Paolo ai cristiani di Efeso.
In questo testo, Paolo mostra chiara consapevolezza di essere stato chiamato da Dio a un com­pito particolare: la diffusione del Vangelo tra i pagani. 
Egli ricorda con umiltà questa sua vocazione. Si sente, infatti, «il più piccolo di tutti i cristiani».
Ma Paolo ricorda questa sua vocazione anche con fierezza. Egli, infatti, ha imparato che il mistero di Dio è una ricchezza traboccante, un abisso insondabile. Dio si è rivelato a lui, Paolo, e lo ha rapito dentro le abissali profondità del suo mistero insondabile.
Anche da questo testo raccogliamo una frase, quella iniziale: «Fratelli,a me, che sono l'ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo». 
Anche noi ci sentiamo un po’ ultimi e indegni; eppure anche a noi Dio ha rivelato la straordinaria ricchezza del suo mistero e del suo disegno.
Possiamo, allora, conservare nel cuore questa domanda: riesco a trovare tempo sufficiente, per contemplare il disegno di Dio? Riesco, perciò, a sentirmi non solo indegno, ma anche mandato ad annunciare e a testimoniare questo disegno di Dio?

3.   Infine, il brano evangelico è l’inizio del Vangelo secondo S. Marco.
In questo brano, ci viene presentata la figura di Giovanni Battista, quasi modello dei veri «figli del regno». 
Marco non ci dice nulla sulla sua origine, sul­la sua provenienza, sul tempo preciso della sua comparsa sulla scena. Semplicemente «comparve». Giovanni è tutto racchiuso nella sua funzione, che consiste nel battezzare e nel predica­re la conversione e la remissione dei peccati. 
La «conversione», poi, (nell’originale greco, «metanoia»)non è semplicemente un cambiamento di comportamento morale: da opere cattive a opere buone. È anzitutto un cambiamento di mentalità, di visio­ne, di valutazione. Un cam­biamento radicale, che riporta l’uomo alla sua vera identità. Volgersi a Dio è, infatti, un ritorno a casa!
Raccogliamo anche noi l’invito del Battista, che «proclamava un battesimo di conversione (di metanoia, di cambiamento di mentalità)per il perdono dei peccati».
La domanda che, con molta sincerità, sorge a partire dalla predicazione del Battista può essere questa: «Da che parte viene la nostra mentalità? Cioè: come abbiamo formato, come stiamo formando oggi la nostra mentalità? L’abbiamo formata a partire dalla nostra esperienza? Dai messaggi televisivi? Dai messaggi politici? Dalla opinione comune? Quanto della nostra mentalità deriva dalla Parola di Gesù?». 
E soprattutto: «Quanto sono disponibile a cambiare mentalità, adeguandola davvero alla Parola di Gesù?». 
Non è una domanda oziosa. Spesso, infatti, noi lasciamo intatta la nostra mentalità di fondo e cerchiamo di aggiustare solo i particolari, magari un po’ secondari, della nostra vita.


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giovedì 15 novembre 2018

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 18 novembre 2018



Introduzione alla liturgia della Parola di domenica 18 novembre 2018 - anno C

Testi delle letture di domenica 18 novembre 2018

Iniziamo con questa prima domenica una nuova esperienza comunitaria di ascolto della Parola. Ogni settimana un presbitero delle nostre Comunità proporrà una introduzione alla liturgia della Parola della domenica che andremo a vivere. Il desiderio è che sempre di più impariamo a metterci alla Scuola della Parola e cogliamo come le pagine bibliche proposte durante la celebrazione eucaristica possano diventare guida al cammino personale e comunitario.

Domenica 18 novembre inizia un nuovo anno liturgico che si apre con il tempo di Avvento. Questa parola ci parla dell'attesa di Dio che ciascuno di noi vive nella quotidiana vigilanza della propria esistenza, ma ci ricorda anche che Dio è venuto nella storia, viene certo nel presente e verrà a compiere la storia. L'Avvento riguarda un evento: è la visita di Dio attraverso Gesù, il suo Figlio. Penso sia significativo leggere in questo modo la visita che molti presbiteri compiono nelle case propio in questo tempo: Dio viene a visitare la tua vita proprio lì dove tu abiti, bussa alla tua porta perché desidera incontrarti.

Ma veniamo ai testi che ascolteremo e leggeremo domenica.
Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, troviamo ripetuta l'espressione giorno del Signore, che appare avere una connotazione negativa, giorno di giudizio, implacabile per sterminare i peccatori. Possiamo cogliere nella durezza delle espressioni di questi versetti del profeta un invito a vivere seriamente la propria esperienza di abbandono fiducioso in Dio. Abbandono che si esprime nell'invocazione del salmo: Sorgi, o Dio, e vieni a salvare il tuo popolo. Questo ritornello accompagna le parole del salmo usate nella tradizione cristiana come canto pasquale dell'ascensione di Cristo al cielo. Dal cielo attendiamo la sua venuta perché siano dispersi i nemici, perché i giusti si rallegrino in Lui.

La seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, si presenta come una esortazione a vivere nella fedeltà il giorno del Signore, che si è compiuto nella Pasqua di Gesù, quando Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi in sacrificio. Il cammino del credente avviene nella carità in attesa che il mistero della fede sia pienamente svelato nella definitiva venuta del Signore. I richiami a lottare contro ogni forma di impurità sottolineano ancora una volta la serietà del cammino di fede perché il discepolo viva come figlio della luce, nella ricerca di piacere unicamente al Signore, perché bontà, giustizia e verità diano alla vita una profonda unità interiore.

Le parole di Gesù nel Vangelo di Luca non rivelano qualcosa di strano o nascosto, ma il senso profondo della nostra realtà presente: ci tolgono il velo che le nostre paure e i nostri errori ci hanno messo davanti agli occhi, e ci permettono di vedere quella verità che è la parola definitiva di Dio sul mondo.
Gesù non risponde alla domanda circa il tempo e i segni che accompagnano la fine del mondo, è infatti illusorio pensare che se avessimo queste informazioni vivremmo meglio; "guardate di non essere ingannati" perché puntualmente ritorna il pensiero alla fine del mondo ma l'inganno è non riconoscere che la nostra più grande paura è per la morte, ma il male più grande non è la morte ma il modo nel quale la viviamo.
Guerre e rivolte ci sono sempre state, Luca ha negli occhi la rivolta che ha portato alla distruzione di Gerusalemme. Ma la prima guerra è stata molto semplice, quella tra due fratelli là dove l'uno non è stato capace di accettare il proprio limite che ha trasformato da bisogno di essere aiutato da chi mi sta accanto ad aggressione, violenza e morte. Le guerre non sono necessarie ma sono la conseguenza del male che c'è. Tutto il male del mondo, non costituisce la fine del mondo, il male massimo l’abbiamo già fatto, uccidere Dio. Non è stata la fine del mondo, è stato l’inizio del mondo nuovo. Così tutto il male del mondo non decreterà la fine del mondo, queste cose avvengono adesso è il tempo in cui viviamo, è il tempo nel quale dobbiamo agire noi con la nostra responsabilità smettendo di essere causa di male.
Anche la natura si ribella a comportamenti egoisti e avidi. 
La persecuzione è il tempo della testimonianza, il cristiano subisce il male perché appartiene a Cristo il giusto perseguitato. Il cristiano autentico sa che può essere ucciso ma nella convinzione che neppure un suo capello verrà dimenticato. “Perché con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”: vivi veramente solo se sai dare la vita, essa non è infatti qualcosa da trattenere, come il respiro, se lo trattieni muori. La vita è un dono e bisogna saperla donare per ciò che val la pena, cioè per l’Amore, per la fraternità, per la giustizia, allora l’hai salvata. “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà”: diventa egoista e vive già la morte eterna, chi invece sa perdere la sua vita la salva, vive già ora nell’amore di Cristo e a Lui dà testimonianza.

Facciamo nostro l'ultimo invito del testo:  dentro le mutazioni della storia, dentro le speranze e le contraddizioni che la segnano: “Risollevatevi e alzate il capo”, questo il segno che siete in attesa della sua venuta. Quando le depressioni, le disillusioni, le tragedie ci fanno piegati e curvi, e quasi non ci rimane più voglia di ricominciare e di lottare, quando tutto ci sembra logoro e inutile, ci raggiunga, ci risuoni dentro questa parola, “risollevatevi e alzate il capo, la vostra liberazione è vicina”.

Buon tempo di Avvento!


Testi delle letture di domenica 18 novembre 2018