mercoledì 28 novembre 2018

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 2 dicembre 2018


Introduzione alla Liturgia della Parola - domenica 2 dicembre 2018 
III domenica di Avvento - anno C

Stiamo per celebrare la terza domenica d’Avvento, quella che apre la settimana che ci pome a metà del cammino di preparazione al Natale. Il titolo di questa domenica è “Le profezie compiute”. Veniamo invitati a guardare con interesse a Gesù quale compimento delle Sacre Scritture, come già preannunciato dall’evangelista Marco nella pericope di domenica scorsa quando citava Malachia e Isaia introducendo la figura di Giovanni il Battista. 
Le letture di oggi ci insegnano a pensare i profeti e a considerare l’Antico o Primo Testamento come preannunzio di Gesù Cristo. 

La lettura è tratta dal libro del profeta Isaia (Is 45,1-8). Viene narrato un oracolo su Ciro, eletto del Signore. Ciro, re di Persia, è presentato nella profezia come strumento nelle mani del Signore Creatore, presentato come nuovo Davide per Israele. Questo dovrebbe portare Ciro il persiano a riconoscere il Creatore come unico Dio della storia «perché tu sappia che io sono il Signore, Dio d’Israele, che ti chiamo per nome». Tutto ciò che su Ciro è profetizzato, compreso il regno e le ricchezze, sono solo opera di Dio, anche se non è conosciuto dai persiani. La profezia si conclude poi con l’inno di benedizione che la liturgia e il canto utilizza per esprimere l’attesa del Salvatore: «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia».
Il Signore compie la sua promessa sempre in modo imprevedibile e creativo. Come il sorgere di Ciro apparve agli occhi dei contemporanei del profeta una cosa imprevedibile, così noi siamo testimoni di quanto Dio Padre abbia portato a compimento la sua Parola in Cristo Gesù e nel suo avvento.

L’epistola è tratta dalla Lettera ai Romani (Rm 9,1-5). In questi pochi versetti Paolo vuole descrivere personalmente e senza trattenere i propri sentimenti il problema di Israele ad accogliere Gesù come Messia. E lo fa descrivendo Israele come popolo privilegiato, che possiede l’adozione a figli, la gloria, l’alleanza, i patriarchi… ma soprattutto che ha dato origine nella carne a Cristo Gesù, Dio che è sopra ogni cosa. Israele aveva già tutte le caratteristiche perché tra di esso nascesse il Cristo. Era già previsto, era già scritto, ma non tutti lo hanno riconosciuto. E per questo Paolo soffre. Lui, da israelita doc, ha capito il valore di elezione del popolo d’Israele e per questo ha scelto, riconoscendo Gesù quale anello di congiunzione tra la fede d’Israele e l’anelito a Dio presente in ogni uomo.

Il brano evangelico tratto dal capitolo 7 di Luca (Lc 7,18-28), si apre con il dubbio e la richiesta di chiarificazione che Giovanni il precursore rivolge in modo indiretto a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» La risposta di Gesù non si fa attendere, anzi, si fa azione e ri-creazione guarendo molti. Poi la risposta si conclude concretamente con le parole che rimandano al profeta Isaia: Gesù è già in questo modo compimento delle profezie.
Poi è Gesù a porre domande alle folle, chiedendo cosa hanno visto del profeta Giovanni. Il profeta generalmente si ascolta, non si guarda. Ecco qui l’invito a guardare con gli occhi di Dio ciò che si sta compiendo nella storia, i segni che Lui continua a seminare nella nostra vita. 
La frase enigmatica al versetto 23, una strana beatitudine, ci svela chiave di lettura di tutte le Scritture alla luce di Gesù: «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». La continuità tra la Scrittura e Gesù non si comprende dalla scrittura stessa, ma dallo scandalo della croce e dalla risurrezione. Ecco su cosa profetizzava Giovanni il precursore: sullo scandalo che sarebbe stato Gesù per Israele: non un re vittorioso, ma un Dio che è amore e che si è incarnato per dimostrarcelo. Ecco perché il Precursore è il più grande tra i profeti: non si è fermato all’apparenza degli avvenimenti, è andato in profondità. Ha ascoltato Dio che era presente nella sua vita in modo straordinario nell’ordinario.

E noi sappiamo cogliere nell’ordinarietà della vita lo straordinario di Dio? Dio sta per venire. Accorgiamocene!


giovedì 22 novembre 2018

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 25 novembre 2018


Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 25 novembre 2018 - anno C
La seconda domenica di Avvento del rito ambrosiano si intitola: «I figli del regno».
Questo titolo vuole ricordarci che la venuta di Gesù, di cui facciamo memoria nel Natale e che aspettiamo realmente per la fine dei tempi, è per tutti gli uomini e le donne. Tutti sono chiamati ad essere «figli» del Regno che verrà e che Gesù ha già inaugurato.

1.   La prima lettura è tratta dal cap. 19 del profeta Isaia.
È un testo di grande apertura universale. In esso, infatti, Isaia annuncia che anche l’Egitto e l’Assiria – popoli stranieri e nemici di Israele – sarebbero diventati «popoli di Dio»
Il brano si compone di cinque affermazioni, tutte introdotte dalla clausola «in quel giorno»: la clausola allude a un tempo futuro, nel quale la storia assumerà un nuovo volto, voluto e attuato da Dio. 
Sarà un tempo, in cui tutti i popoli – riassunti nei due grandi popoli dell’Egitto e dell’Assiria – conosceranno e serviranno il Signore. 
Sarà un tempo in cui le strade collegheranno i popoli non per scopi di con­quista, ma per rapporti pacifici tra genti divenute amiche.
Raccogliamo il messaggio di questa lettura in una frase del profeta: «In quel giorno … Israele sarà una benedizione in mezzo alla terra», perché si farà mediatore della conoscenza di Dio e di pace.
Israele può essere letto come segno della Chiesa e di ciascun cristiano.
Possiamo, allora, rivolgerci una domanda: ogni uomo o donna riesce davvero a «benedire» il Signore, quando incontra la nostra comunità cristiana? E anche quando incontra ciascuno di noi?

2.  La seconda lettura è tratta dalla lettera di San Paolo ai cristiani di Efeso.
In questo testo, Paolo mostra chiara consapevolezza di essere stato chiamato da Dio a un com­pito particolare: la diffusione del Vangelo tra i pagani. 
Egli ricorda con umiltà questa sua vocazione. Si sente, infatti, «il più piccolo di tutti i cristiani».
Ma Paolo ricorda questa sua vocazione anche con fierezza. Egli, infatti, ha imparato che il mistero di Dio è una ricchezza traboccante, un abisso insondabile. Dio si è rivelato a lui, Paolo, e lo ha rapito dentro le abissali profondità del suo mistero insondabile.
Anche da questo testo raccogliamo una frase, quella iniziale: «Fratelli,a me, che sono l'ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo». 
Anche noi ci sentiamo un po’ ultimi e indegni; eppure anche a noi Dio ha rivelato la straordinaria ricchezza del suo mistero e del suo disegno.
Possiamo, allora, conservare nel cuore questa domanda: riesco a trovare tempo sufficiente, per contemplare il disegno di Dio? Riesco, perciò, a sentirmi non solo indegno, ma anche mandato ad annunciare e a testimoniare questo disegno di Dio?

3.   Infine, il brano evangelico è l’inizio del Vangelo secondo S. Marco.
In questo brano, ci viene presentata la figura di Giovanni Battista, quasi modello dei veri «figli del regno». 
Marco non ci dice nulla sulla sua origine, sul­la sua provenienza, sul tempo preciso della sua comparsa sulla scena. Semplicemente «comparve». Giovanni è tutto racchiuso nella sua funzione, che consiste nel battezzare e nel predica­re la conversione e la remissione dei peccati. 
La «conversione», poi, (nell’originale greco, «metanoia»)non è semplicemente un cambiamento di comportamento morale: da opere cattive a opere buone. È anzitutto un cambiamento di mentalità, di visio­ne, di valutazione. Un cam­biamento radicale, che riporta l’uomo alla sua vera identità. Volgersi a Dio è, infatti, un ritorno a casa!
Raccogliamo anche noi l’invito del Battista, che «proclamava un battesimo di conversione (di metanoia, di cambiamento di mentalità)per il perdono dei peccati».
La domanda che, con molta sincerità, sorge a partire dalla predicazione del Battista può essere questa: «Da che parte viene la nostra mentalità? Cioè: come abbiamo formato, come stiamo formando oggi la nostra mentalità? L’abbiamo formata a partire dalla nostra esperienza? Dai messaggi televisivi? Dai messaggi politici? Dalla opinione comune? Quanto della nostra mentalità deriva dalla Parola di Gesù?». 
E soprattutto: «Quanto sono disponibile a cambiare mentalità, adeguandola davvero alla Parola di Gesù?». 
Non è una domanda oziosa. Spesso, infatti, noi lasciamo intatta la nostra mentalità di fondo e cerchiamo di aggiustare solo i particolari, magari un po’ secondari, della nostra vita.


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giovedì 15 novembre 2018

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 18 novembre 2018



Introduzione alla liturgia della Parola di domenica 18 novembre 2018 - anno C

Testi delle letture di domenica 18 novembre 2018

Iniziamo con questa prima domenica una nuova esperienza comunitaria di ascolto della Parola. Ogni settimana un presbitero delle nostre Comunità proporrà una introduzione alla liturgia della Parola della domenica che andremo a vivere. Il desiderio è che sempre di più impariamo a metterci alla Scuola della Parola e cogliamo come le pagine bibliche proposte durante la celebrazione eucaristica possano diventare guida al cammino personale e comunitario.

Domenica 18 novembre inizia un nuovo anno liturgico che si apre con il tempo di Avvento. Questa parola ci parla dell'attesa di Dio che ciascuno di noi vive nella quotidiana vigilanza della propria esistenza, ma ci ricorda anche che Dio è venuto nella storia, viene certo nel presente e verrà a compiere la storia. L'Avvento riguarda un evento: è la visita di Dio attraverso Gesù, il suo Figlio. Penso sia significativo leggere in questo modo la visita che molti presbiteri compiono nelle case propio in questo tempo: Dio viene a visitare la tua vita proprio lì dove tu abiti, bussa alla tua porta perché desidera incontrarti.

Ma veniamo ai testi che ascolteremo e leggeremo domenica.
Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, troviamo ripetuta l'espressione giorno del Signore, che appare avere una connotazione negativa, giorno di giudizio, implacabile per sterminare i peccatori. Possiamo cogliere nella durezza delle espressioni di questi versetti del profeta un invito a vivere seriamente la propria esperienza di abbandono fiducioso in Dio. Abbandono che si esprime nell'invocazione del salmo: Sorgi, o Dio, e vieni a salvare il tuo popolo. Questo ritornello accompagna le parole del salmo usate nella tradizione cristiana come canto pasquale dell'ascensione di Cristo al cielo. Dal cielo attendiamo la sua venuta perché siano dispersi i nemici, perché i giusti si rallegrino in Lui.

La seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, si presenta come una esortazione a vivere nella fedeltà il giorno del Signore, che si è compiuto nella Pasqua di Gesù, quando Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi in sacrificio. Il cammino del credente avviene nella carità in attesa che il mistero della fede sia pienamente svelato nella definitiva venuta del Signore. I richiami a lottare contro ogni forma di impurità sottolineano ancora una volta la serietà del cammino di fede perché il discepolo viva come figlio della luce, nella ricerca di piacere unicamente al Signore, perché bontà, giustizia e verità diano alla vita una profonda unità interiore.

Le parole di Gesù nel Vangelo di Luca non rivelano qualcosa di strano o nascosto, ma il senso profondo della nostra realtà presente: ci tolgono il velo che le nostre paure e i nostri errori ci hanno messo davanti agli occhi, e ci permettono di vedere quella verità che è la parola definitiva di Dio sul mondo.
Gesù non risponde alla domanda circa il tempo e i segni che accompagnano la fine del mondo, è infatti illusorio pensare che se avessimo queste informazioni vivremmo meglio; "guardate di non essere ingannati" perché puntualmente ritorna il pensiero alla fine del mondo ma l'inganno è non riconoscere che la nostra più grande paura è per la morte, ma il male più grande non è la morte ma il modo nel quale la viviamo.
Guerre e rivolte ci sono sempre state, Luca ha negli occhi la rivolta che ha portato alla distruzione di Gerusalemme. Ma la prima guerra è stata molto semplice, quella tra due fratelli là dove l'uno non è stato capace di accettare il proprio limite che ha trasformato da bisogno di essere aiutato da chi mi sta accanto ad aggressione, violenza e morte. Le guerre non sono necessarie ma sono la conseguenza del male che c'è. Tutto il male del mondo, non costituisce la fine del mondo, il male massimo l’abbiamo già fatto, uccidere Dio. Non è stata la fine del mondo, è stato l’inizio del mondo nuovo. Così tutto il male del mondo non decreterà la fine del mondo, queste cose avvengono adesso è il tempo in cui viviamo, è il tempo nel quale dobbiamo agire noi con la nostra responsabilità smettendo di essere causa di male.
Anche la natura si ribella a comportamenti egoisti e avidi. 
La persecuzione è il tempo della testimonianza, il cristiano subisce il male perché appartiene a Cristo il giusto perseguitato. Il cristiano autentico sa che può essere ucciso ma nella convinzione che neppure un suo capello verrà dimenticato. “Perché con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”: vivi veramente solo se sai dare la vita, essa non è infatti qualcosa da trattenere, come il respiro, se lo trattieni muori. La vita è un dono e bisogna saperla donare per ciò che val la pena, cioè per l’Amore, per la fraternità, per la giustizia, allora l’hai salvata. “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà”: diventa egoista e vive già la morte eterna, chi invece sa perdere la sua vita la salva, vive già ora nell’amore di Cristo e a Lui dà testimonianza.

Facciamo nostro l'ultimo invito del testo:  dentro le mutazioni della storia, dentro le speranze e le contraddizioni che la segnano: “Risollevatevi e alzate il capo”, questo il segno che siete in attesa della sua venuta. Quando le depressioni, le disillusioni, le tragedie ci fanno piegati e curvi, e quasi non ci rimane più voglia di ricominciare e di lottare, quando tutto ci sembra logoro e inutile, ci raggiunga, ci risuoni dentro questa parola, “risollevatevi e alzate il capo, la vostra liberazione è vicina”.

Buon tempo di Avvento!


Testi delle letture di domenica 18 novembre 2018