sabato 31 dicembre 2016

Gesù la luce che illumina ogni uomo

Parole tra Natale e l'inizio di un nuovo anno

Rimango sempre affascinato dalle persone che dedicano tempo a realizzare il presepio. Anche quest’anno non sono riuscito io a prepararlo e fortunatamente ho la mia Mamma che nella mia casa mette i segni del Natale, e anche il presepio.
Camminando per le strade delle nostre Comunità ho pensato a un presepe, a un presepe dove c’è tantissima luce.
Innanzitutto nel mio presepe ci sono dei lampioni. I lampioni danno una luce intensa, forte che è capace di spezzare l’oscurità; i lampioni danno sicurezza, soprattutto in quelle sere dove il buio è fitto oppure quando inizia a salire la nebbia. Ho pensato che i lampioni sono i papà. I papà sono capaci di illuminare il cammino, a volte sembrano lontani, distaccati, freddi come un lampione - una luce in alto -, eppure ci accorgiamo quando manca la luce di un lampione e la invochiamo perché il procedere sulla strada diventa meno sicuro. Nel mio presepe ci sono dei lampioni, ci sono tanti papà.
Nel mio presepe ci sono delle lucette piccole, quelle notturne che si mettono nelle prese e servono solamente di notte, pare. Sono capaci di dare un po’ di sollievo quando svegliandosi nel cuore della notte, o per andare in bagno o per prendere dell’acqua, illuminano quel tratto di cammino sufficiente per non inciampare. Sembra una luce inutile eppure tutti noi in qualche momento ci siamo accorti di quanto fosse importante avere una luce così, nella stanza o nel corridoio. Ho pensato che queste luci assomigliano alle nostre mamme. È una luce mite, discreta, delicata, non fa rumore, non fa chiasso ma è sempre accesa e serve sempre nel momento più opportuno. Le mamme sono così: ci sono sempre, capaci di illuminare quel tratto di cammino quando siamo in difficoltà. Portano un po’ di sicurezza, a loro possiamo aggrapparci sempre. Nel mio presepe ci sono tante, tante mamme.
Ho pensato ai bambini. Loro mi ricordano le luci colorate del presepe che si illuminano e si spengono. Tanti colori diversi, come sono i bambini: tutti diversi ma tutti luminosi, soprattutto con i loro sorrisi. Le luci del Natale ormai ci sono sempre, quasi non fanno neanche più stupore, eppure davanti ai bambini ci stupiamo, come questa sera davanti al nostro “piccolo Gesù Bambino” Filippo. Lo stupore nei bambini ci parla fortemente anche di tanti bambini che purtroppo sono un po’ spenti dall’egoismo dei grandi, dall’incapacità dei grandi di vedere in loro la luce che è Dio.
Nel mio presepe, pensate, ci sono anche i fuochi d’artificio. Questi razzi che arrivano nel cielo e spandono luce in ogni luogo, colorati, divertenti. Fanno anche rumore. I fuochi d’artificio sono gli adolescenti. Questo tempo straordinario della vita che noi guardiamo sempre sperando che passi in fretta. Eppure è la più grande rivoluzione che accade nella vita di un uomo: quando ci si apre alla vita, quando si scopre la vita, quando non la si capisce fino in fondo ma la si desidera con tutte le proprie forze. I nostri adolescenti, le nostre speranze, i nostri ragazzi… Nel mio presepe ci sono i fuochi d’artificio e sono tutti i ragazzi che incontro: quelli che riesco a coinvolgere nei cammini delle nostre Comunità e quelli che invece non riesco a coinvolgere. Ma tutti, ne sono certo, sanno portare un po’ di luce, tanto colore.
Poi ci sono i nostri giovani. Li ho pensati inizialmente a come quei razzi luminosi che sono segnalatori nel cielo di una posizione, invece penso che siano più delle torce. Sono alla ricerca. Come noi usiamo la torcia per cercare nell’oscurità qualcosa, anche loro cercano, cercano qualche cosa: il compimento della propria vocazione, una persona da amare, un lavoro. Cercano soprattutto la fiducia di chi li guarda e non vede solamente un problema e neanche una risorsa, ma li vede come un regalo e la loro giovinezza come speranza, possibilità di credere in un futuro di pace, un futuro migliore. 
Nel mio presepe c’è anche il fuoco del camino. Il fuoco del camino dà luce e dà calore. Trovarsi intorno al camino è sempre un’esperienza straordinaria. I nostri ragazzi l’hanno un po’ persa ma chi ha la gioia di avere qualcuno che accende per loro un camino e sa intorno al camino raccontare storie, sa fare qualcosa di straordinario: racconta una memoria che diventa una realtà, che fa sorridere al futuro. Il fuoco del camino sono i nostri nonni, che hanno un sacco di storie da raccontarci, anche di un Natale che non c’è più, di un Natale che ai loro occhi è bellissimo e che è bene che noi ascoltiamo nei loro racconti perché illumini il nostro Natale affinché non sia banale, superficiale, sciocco ma sia pieno della luce intensa, del calore forte del fuoco del camino. 
Nel mio presepe c’è anche la brace. Il colore della brace è intenso, fortissimo, ma spesso è velato da una coltre di cenere. Eppure basta poco: smuovere un po’ la brace subito riaccende il fuoco. Nel mio presepe ci sono tanti malati, sembrano ormai destinati a spegnersi, velati come sono dalle tenebre della loro fatica e della loro sofferenza, a volte anche dal loro invocare la fine della vita perché sono stanchi. Eppure stare accanto a loro, smuovere quella brace, dedicare loro tempo significa incendiare il fuoco dell’amore, della gratitudine, significa guardare al futuro, alla vita eterna e non avere paura perché nel cammino della vita c’è la luce che illumina i passi di ogni uomo.
Il mio augurio è che i papà non abbiamo paura di essere luci che con intensità sanno indicare il cammino, anche quando non vengono riconosciute, apprezzate, valorizzate. 
Che le nostre mamme siano continuamente discrete, umili e tanto preziose, insostituibili nell’illuminare soprattutto quei tratti di cammino che ci sembrano più oscuri e difficili. 
Che i nostri bambini possano trovare sempre ascolto, che lo stupore accompagni sempre i loro sguardi e che non ci dimentichiamo mai anche degli altri bambini, di quelli che spesso l’egoismo spegne nella luce della loro infanzia. 
Guardiamo con fiducia ai nostri adolescenti: non siano per noi solamente quelli che fanno rumore, ma quelli che danno colore, quelli che ci chiedono di essere seri nell’affrontare la vita, di dare loro risposte esigenti, autentiche, anche faticose ma capaci di futuro.
Che i nostri giovani possano trovare la strada, anche attraverso il nostro esempio, soprattutto non indicando loro un mondo cattivo e basta ma un mondo dove sia possibile vivere una vita degna, anche perché faticosamente si cerca il proprio posto, il proprio lavoro e la vita la si guadagna con la fatica del proprio spendersi per sé e per gli altri.
L’augurio è che i nostri nonni ci raccontino sempre della loro esperienza, anche quando possono apparire noiosi o ripetitivi perché fino a che c’è qualcuno che ci racconta qualcosa della vita ci racconta qualcosa di Dio, perché Dio è la vita e in questa notte noi ne facciamo una memoria grata, lieta. Senza la vita di Gesù noi non saremmo qui.
I nostri anziani, i nostri malati: che fatica a volte accompagnarli! Anche quest’anno ne abbiamo salutati molti, alcuni di noi hanno vegliato accanto a loro per tanto tempo, sacrificando il proprio tempo ma non ci dimentichiamo che loro sono coloro che ci hanno insegnato la vita, ci hanno generato alla vita, ci hanno portato per mano quando eravamo bambini. Non dimentichiamo che in quella brace della loro esistenza, che sembra inutile, c’è sempre la memoria di qualcosa di straordinario, almeno della fatica di vivere e della speranza di vivere bene la vita.
In questo presepe metto anche la mia luce. La immagino come quella di un cero che si consuma piano piano. È il desiderio che ho per me stesso, è il desiderio che ho per ciascun presbitero. A volte questa luce risplende poco, a volte pare incerta, a volte pare inutile, ma nel donare la vita così di giorno in giorno la speranza è che nel bagliore di quella luce qualcuno, almeno uno, possa intravedere la presenza di Dio. 
«In quel tempo veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo».

sabato 3 dicembre 2016

INTENZIONI PER LE SANTE MESSE

Alcune note per le offerte per le Sante Messe dei defunti:
  • per facilitare l’accesso di tutte le famiglie a una celebrazione festiva in memoria dei propri cari, vi esorto a non chiedere più di due intenzioni nelle messe festive.
  • L’offerta è libera: le offerte sono per i celebranti e per i poveri. Non si tratta di comprare la Messa ma di unire al sacrificio di Cristo la gratitudine per chi celebra e la cura dei più bisognosi.
  • Non verranno celebrate Messe con intenzioni particolari in occasione della grandi feste della ComUnità: Natale, Pasqua, Pentecoste, celebrazioni dei Sacramenti (Comunione, Cresima).
  • Per quanto abbia un calendario di massima di tutto l’anno è possibile che imprevisti modifichino orari e luoghi della celebrazione delle messe, vi chiedo la carità della disponibilità e della comprensione.
  • La scelta di mettere in alcune celebrazioni due intenzioni non è stata fatta per guadagnare di più, ma per venire incontro alle richieste. Tuttavia dal 13 novembre 2016 è possibile abbinare due o più intenzioni solo nelle messe del mercoledì a Figliaro delle 8.30, del giovedì a Castelnuovo delle 18.00, del sabato a Beregazzo alle 18.00, del sabato a Binago delle 18.15. Le intenzioni delle Messe saranno raccolte solo dopo le celebrazioni o nei tempi che metterò a disposizione.
  • Invito quanti desiderano ricordare i propri cari in una data particolare a non attendere troppo nel venire a chiederlo per evitare che la loro richiesta non possa essere accolta.

venerdì 18 novembre 2016

18 novembre 2016

Ricostruiranno le città devastate
e vi abiteranno.
(Am 9,14a)


Matteo introduce il discorso missionario (il secondo dei suoi cinque discorsi) offrendoci un quadro riassuntivo delle attività di Gesù (9,35): percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, proclamando la lieta notizia del regno e sanando ogni malattia. L’intenzione dell’evangelista è chiara: il discepolo non ha una missione diversa da quella del suo Maestro.
In Gesù il desiderio della missione nasce dal vedere le folle “come pecore senza pastore (9,36). L’espressione risale ai profeti e descrive le condizioni del popolo di Dio disperso, senza unità e senza una guida. Cristo vuole essere annunciato dovunque perché vuole unire, togliere gli uomini dalla solitudine e dalla dispersione.

Subito dopo Gesù ricorre a un’altra immagine dei profeti: la messe (9,37). L’immagine era usata per indicare il futuro regno messianico che non sarebbe più stato il tempo dell’attesa e della preparazione, ma della mietitura e della realizzazione. Ecco il tempo è arrivato, tutto è pronto e perciò la missione è urgente: è il tempo del raccolto, che i profeti hanno sempre visto in chiave escatologica: ma l’escatologia (gli ultimi tempi) è già iniziata e la salvezza è qui. La missione dei discepoli, perciò, non è di portare la salvezza ma di annunciare la presenza: il lavoro è di Dio e gli uomini raccolgono.

giovedì 17 novembre 2016

17 novembre 2016

Ha abbandonato me, sorgente di acqua viva,  
e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, 
che non trattengono l’acqua. 
(Ger 2,13)


I farisei e i discepoli di Giovanni digiunavano per affrettare la venuta del Messia e per disporsi ad accoglierlo. I discepoli di Gesù sono convinti che il Messia sia già con loro: è il tempo della festa, non del digiuno. Più avanti lo Sposo sarà tolto (allusione alla croce) e allora verrà il tempo del distacco, della passione e della prova, e si digiunerà (9,15). Ma sarà un digiuno diverso.
Gesù non si accontenta di questa risposta, ma prosegue denunciando il vero motivo per cui i farisei si mostrano perplessi e scandalizzati di fronte ai suoi comportamenti. Essi, infatti, leggono i suoi comportamenti (9, 16-17) partendo dal presupposto che lui e la sua dottrina debbano essere compatibili con le vecchie botti. Invece Gesù è portatore di novità e non è giusto valutarlo sul metro dei vecchi schemi mentali, religiosi e sociali. Va letto con occhi nuovi, disposti a cambiare le botti e il vestito. Il vangelo è incompatibile con la legge, l’opera iniziata da Gesù non è un rattoppo di elementi presi dal giudaismo con affermazioni sue proprie.

mercoledì 16 novembre 2016

Mercoledì 16 novembre 2016

Cercate il bene e non il male, se volete vivere.
(Am 5,14a)


Vocazione di San Matteo, Chiesa di San Luigi dei Francesi,1599-1600

Alla guarigione del paralitico segue la chiamata del pubblicano Matteo. I farisei si meravigliano che Gesù siede a mensa con peccatori e pubblicani (9,11). Sono uomini che amano scandalizzarsi, il loro atteggiamento rivela una stortura della fede: pretendono che l’amore di Dio sia solo per i giusti e che la dignità messianica esiga ambienti puliti. Non hanno capito che egli viene a pulire, il Messia non viene a raccogliere i santi, ma a trasformare i peccatori in figli di Dio (9,13). Secondo Matteo questo – più che un rimprovero ai farisei – è una lezione per i discepoli: l’episodio, infatti, è raccontato in un contesto di vocazione.
Ma l’atteggiamento dei farisei rivela anche una stortura morale: la purezza legale (come sedere a mensa con uomini impuri) a scapito della carità, l’esteriorità a scapito dei valori di fondo. Gesù si rifà invece alla predicazione dei profeti (“misericordia voglio non sacrificio”), unanimi e severi su questo punto (Os. 6,16; Is. 1, 10-17).
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martedì 15 novembre 2016

Martedì 15 novembre 2016

"Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, 
sarà simile a un uomo saggio, 
che ha costruito la sua casa sulla roccia."
Mt 7,24

Casa sulla roccia - Fiume Drina, Serbia
Avviandosi alla conclusione del discorso, Matteo sviluppa una contrapposizione a diversi livelli. C’è chi parla continuamente di Dio (“Signore, Signore”), ma poi dimentica di fare la sua volontà. C’è chi si illude di lavorare per il Signore (“Abbiamo profetato… abbiamo scacciato…”) ma poi si scoprirà, nel giorno del rendiconto, di essergli sconosciuto (“Non vi ho mai conosciuto”).
Con queste parole Gesù denuncia una dissociazione nella vita dell’uomo: da una parte c’è l’uomo che ascolta, riflette, discute, programma; dall’altra, l’uomo che dimentica di agire, di applicare i programmi. C’è il rischio di una preghiera (“Signore, Signore”) che non si traduce in vita e in impegno (“la volontà di Dio”). C’è il rischio di un ascolto della Parola che non diventa mai qualcosa di operante e di pratico. La radice di questa dissociazione è il tentativo di salvare l’obbedienza a Dio e di sottrarsi, nel contempo, all’esigenza di conversione che essa comporta. Non sentendosi sicuro all’ombra della parola di Dio, l’uomo continua a cercare la propria sicurezza in se stesso e nella realtà del mondo. A Dio la preghiera e la meditazione, ai nostri interessi il resto della vita. E’ un tentativo goffo per servire  due padroni. E’ dalla vita quotidiana che si deduce se abbiamo o no un solo padrone, è dalla vita quotidiana che si comprende quale sia davvero il nostro Signore. L’intero discorso si conclude col paragone delle due case (7, 24-27). La roccia che dà stabilità è Jahwè, la parola di Dio, la fede, il Messia. Il discepolo deve appoggiarsi a Cristo (la roccia), l’unico capace di rendere incrollabile la fede del discepolo, di sottrarla alla fragilità. Il progetto cristiano non può contare sulle nostre forze, ma unicamente sull’amore di Dio. E’ nella forza di Dio che l’uomo trova la sua consistenza. Non c’è vera fede senza impegno morale. La preghiera e l’azione, l’ascolto e la pratica sono ugualmente importanti.
L’evangelista termina il discorso osservando che le folle restavano stupite di fronte alle parole di Gesù, (7, 28-29) perché egli insegnava con autorità, e non come gli scribi. L’autorità degli scribi era basata sulla tradizione: lo scriba era preoccupato di ripetere fedelmente l’insegnamento tradizionale e di mostrare che il suo stesso commento scaturiva dalla tradizione ed era in armonia con essa. Gesù, invece, non insegnava come uno scriba ma come un profeta: Gesù ha un mandato dal Padre di insegnare, un mandato che gli scribi non hanno. Egli manifesta chiaramente questo mandato, e la gente ne è stupita. Il discorso della Montagna non è un codice completo di etica cristiana. Ci sono, infatti, nel Nuovo Testamento numerose direttive di morale cristiana che non si trovano in questo  discorso. In effetti non esiste alcun brano del NT che contenga un codice completo e sistematico di condotta. La rivoluzione morale cristiana consiste in un ri-orientamento dei valori.
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lunedì 14 novembre 2016

Lunedì 14 novembre 2016

"Il giusto vivrà per la sua fede"
Ab 2,4

Luca Giordano, 1690 - Vocazione di Pietro e Andrea
Sulle rive del “mare di Galilea” (il lago) Gesù incontra e chiama i primi discepoli. Sono una coppia di fratelli, tutti pescatori (Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni) intenti al loro lavoro. L’appello di Dio raggiunge gli uomini nel loro ambiente ordinario, nel loro posto di lavoro. Nessuna cornice “sacra” per la chiamata dei primi discepoli, ma lo scenario del lago e lo sfondo della dura vita quotidiana.
Nel racconto emergono due tratti: la condivisione (il discepolo è chiamato a condividere la via del Maestro: “Seguimi”) e il distacco ( drastico e immediato: “e subito lasciarono le reti”). Nessun indugio per il discepolo di Gesù e nessun rito di addio, ma “subito”.
Ma i tratti essenziali – che già definiscono compiutamente la figura del discepolo (il resto del Vangelo non farà altro che precisarla) – sono quattro.
Primo: la centralità di Gesù. Sua è l’iniziativa (vide, disse loro, li chiamò): non è l’uomo che si proclama autonomamente discepolo, ma è Gesù che trasforma l’uomo in un discepolo. E ancora: il discepolo non è chiamato a impossessarsi di una dottrina, ma a solidarizzare con una persona (“seguitemi”). Al primo posto l’attaccamento alla persona di Gesù, tanto è vero che il discepolo evangelico non intraprende un tirocinio per divenire a sua volta un maestro: egli rimane sempre un discepolo, perché uno solo è il Maestro.
Secondo: la sequela di Gesù esige un profondo distacco. La chiamata di Pietro e Andrea e la chiamata di Giacomo e Giovanni sono costruite secondo la medesima struttura e sostanzialmente secondo lo stesso vocabolario. C’è però una differenza non trascurabile: nel primo racconto si dice che lasciarono “le reti” e nel secondo che lasciarono “la barca e il padre”. C’è dunque un crescendo: dal mestiere alla famiglia. Il mestiere rappresenta la sicurezza e l’identità sociale. Il padre rappresenta le proprie radici.
Terzo: la sequela è un cammino. A partire dall’appello di Gesù, essa si esprime con due movimenti (lasciare e seguire) che indicano uno spostamento del centro della vita. L’appello di Gesù non colloca il discepolo in un luogo, ma lo pone in  cammino.
Quarto: la sequela è missione. Due sono le coordinate del discepolo: la comunione con Cristo (“seguitemi”) e la corsa verso il mondo (“vi farò pescatori di uomini”). La seconda nasce dalla prima. Gesù non colloca i suoi discepoli in uno spazio separato dagli altri, ma li incammina sulle strade degli uomini. Più avanti si comprenderà che la via del discepolo è la croce.
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domenica 13 novembre 2016

13 novembre 2016 - Prima domenica di Avvento

"Chi avrà perseverato fino alla fine 
sarà salvato"
Mt 24,13


C'è una fine, ci sarà una fine del mondo, alla venuta di Cristo come giudice. Ma non è imminente. Quindi richiede impegno e pazienza nell'attesa. Anche perché diventerà sempre più difficile: ci saranno prove e apostasia. L'iniquo agisce. La fede si raffredderà. Se ne vedranno di peggio! Siate dunque vigilanti e fermi. Non credete ai falsi messia che promettono altre salvezze da quella di Cristo.
Troppo evidente è l'attualità di questo annuncio. Il giudizio di Dio sul male nel mondo lo invochiamo tutti, e.. troppo si fa attendere! Dio sembra non esista, o sia latitante. Crescono le forme di apostasia dalla fede, i tradimenti, e, più, le persecuzioni e l'emarginazione dei credenti, e in particolare dei cristiani. Qualcuno ha scritto che la Chiesa è al tramonto. Come vivere allora questi momenti? E forse ce ne sarà di peggio. Ma Dio sostiene quelli che gli sono fedeli pur nelle prove. E alla fine il giorno - improvviso - verrà per il giusto giudizio e per la liberazione.
La distruzione di Gerusalemme nell'anno 70 fu preceduta da un tempo di disordini sociali, paure, fughe, e anche di raffreddamento della fede e apostasia dal giudaismo. L'evangelista proietta quella esperienza su quanto accadrà alla fine del mondo, e -più in generale - quanto accade nella attesa lunga della venuta finale di Cristo giudice, che molti pensavano - o auspicano ancora oggi - imminente. L'evento sarà decisivo per le sorti del mondo, ma decisivo anche per l'atteggiamento giusto da vivere oggi nella storia. L'attesa è impegnativa e dura, quasi - dice Paolo (Rm 8,22) - come un parto difficile, con le sue doglie, per generare "un cielo nuovo e una terra nuova" (Ap 21,1). Vi agisce dentro "il mistero dell'iniquità, già in atto" (Epist.). Buon grano e zizzania devono convivere insieme: tempo di lotta, di vigilanza e di pazienza.
Chi è "l'uomo dell'iniquità, il figlio della perdizione, l'avversario", che già opera e si manifesterà ulteriormente "nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell'iniquità"? Anzi "si innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, pretendendo di essere Dio" (Epist.). E' la realizzazione limite del peccato, la malvagità senza maschera, .. in sostanza l'impero del male che si manifesterà sempre più.. sfacciatamente, e sembrerà dominare tutto! Per fortuna, "grazie agli eletti" (Vang.), questo scatenarsi dell'Anticristo viene in qualche modo impedito o limitato. Sarà comunque, per tutti, tempo di scelte difficili. "Per il dilagare dell'iniquità, si raffredderà l'amore di molti": anche il numero che diminuisce (di preti, di praticanti!) sarà motivo di scoraggiamento.
Nel marasma delle contraddizioni (oggi si potrebbe dire: nell'impero del relativismo!) "sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti". Proposte - affascinanti - di salvezza alternativa invaderanno la storia (pensiamo alla "dea ragione", alla divinizzazione della scienza, al messianismo marxista, ai vari "uomini della provvidenza" che incantano gli ingenui, e alle più immediate forme di evasione, permissivismi, e il culto di ogni libertà individuale!). "Non credeteci", avverte Gesù. Se la lotta si fa più dura, "non è ancora la fine". Resistere con fiducia nella potenza di Dio, perché "chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato".
"Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria". Proprio quando più forte sarà lo scatenarsi del male, "il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua gloria" (Epist.). E' l'annuncio e la certezza che l'ultima parola sarà del Giudice definitivo e chiuderà il tempo delle libertà umane impazzite, .. troppo sopportate dalla misericordia di quel Dio che ha dato (troppo!) credito alla sua creatura! Non ci sono previsioni sul quando: "Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo". Del resto per la nostra fine personale, .. spesso basta un ictus. C'è solo da rimanere fedeli alla chiamata battesimale, "perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, per mezzo dello Spirito santificatore e della fede nella verità" (Epist.). Cioè stare sul binario giusto della fede e dei sacramenti.
L'importante è sapere che in questo campo di aspra battaglia per la vita e per la salvezza, il primo scontro - il primo round decisivo e vincente - è già avvenuto, ad opera di Cristo. Se l'attesa dell'uomo è sapere se il bene vinca sul male, se Dio vinca su satana e il mondo, deve riconoscere che questo è già avvenuto. Si tratta di essere sicuri - ed è quanto abbiamo proclamato oggi - che a questo primo scontro decisivo seguirà il KO definitivo, finale, la manifestazione esplicita ed esclusiva della signoria di Cristo. Ora è il tempo delle nostre scelte, della nostra perseverante attesa. Dice il prefazio oggi: "Con la sua prima venuta nell'umiltà della carne Egli portò a compimento l'antica speranza e aprì il passaggio alla eterna salvezza; quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell'attesa".
"Non temete l'insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni" (Lett.). In una cultura dell'efficienza, per lo più tecnologica e materiale, la fede è emarginata e derisa, vista come insignificante. Anche perché il bene, interiore e nascosto quale è quello del cuore e della libertà sana, non fa cronaca né fracasso. L'efficacia del seme e del lievito, cioè l'operare della grazia, e quindi della santità, non attinge allo schermo televisivo. Anche da questo è facile che "si raffreddi l'amore di molti". Come rimedio non c'è che fare continuamente memoria della vera forza - della verità - che guida la storia umana ben oltre l'agitarsi delle singole libertà: "La mia giustizia - dice il Signore - durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione" (Lett.).
Si apre l'Avvento per prepararci al Natale, alla prima venuta di Dio tra noi. E' stato l'inizio di una vicenda nuova della nostra umanità, in cammino ora verso la seconda venuta di Cristo che porterà a compimento il Regno iniziato tra noi con i suoi gesti di salvezza. A quel traguardo ognuno è chiamato a giungere preparato. E' la meta ultima da tener presente sempre. Fin dall'inizio dell'Anno Liturgico la Chiesa ce ne fa memoria. Professiamo oggi l'articolo del Credo: "Di nuovo verrà, nella gloria, a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine". Come in ogni messa sospiriamo quell'incontro "nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo". 
don Romeo Maggioni

Is 51, 4-8; Sal 49; 2Ts 2,1-14; Mt 24,1-31