giovedì 12 dicembre 2019

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 15 dicembre 2019


La missione di Giovanni il precursore, su cui si concentra questa quinta domenica di Avvento, è racchiudibile nella sua e nostra disponibilità a far venire il Signore tramite noi. Come il Precursore ha accolto il Verbo fatto carne, dandogli spazio nella propria esistenza, così siamo invitati a fare anche noi, specialmente in Avvento.
La pagina di Vangelo di oggi insiste sul tema della testimonianza cristiana. Giovanni dichiara di non essere lui la Luce, ma il Cristo: il centro luminoso non è il testimone ma l’oggetto della testimonianza. 
Possiamo così dire che il Precursore ha svolto il compito di pedagogo nel condurre chi lo ascoltava a Cristo, un compito che l’apostolo Paolo riconosce all’intera legge dell’Antico Testamento, come ci dice nell’Epistola (Gal 3,23-28). Il pedagogo nell’antica Grecia, aveva il compito di condurre a scuola il figlio del padrone, sorvegliandolo e custodendolo lungo il cammino, costringendolo ad andare a scuola. In modo simile la legge di Mosè ha svolto una funzione di sorveglianza e di costrizione nei confronti del popolo di Dio, anche se in modo negativo, benchè il suo scopo fosse positivo. Ma con l’avvento di Cristo la legge mosaica termina il suo ruolo: la carità evangelica deve prendere il suo posto come pienezza della legge. 
In questo senso Gesù è la luce del mondo, perchè illumina ogni uomo. In quanto luce sul nostro cammino egli ci indica la strada verso la casa del Padre; ma ci guida non tanto con insegnamenti, divieti e precetti, come faceva la legge di Mosè, quanto piuttosto col fascino del suo stile di vita da Figlio costantemente orientato verso il Padre. Gesù è per noi luce perchè ha illuminato, nella maniera più nitida possibile, l’origine e la meta dell’esistenza di ogni uomo, creato per amare e per essere amato da Dio. 
Cosa vuol dire per noi, allora, essere autenticamente testimoni cristiani? È anzitutto accogliere con fede nella propria vita Dio come ce lo ha manifestato Gesù, e poi lasciarlo trasparire agli altri con lo stesso stile di vita. Prima ancora di fare e parlare è questione di essere: cerchiamo di far diventare parola la nostra carne; come il Precursore mettiamogli a disposizione la nostra voce e tutto il nostro essere, ben sapendo che ne va della vita eterna, nostra e altrui. Continuiamo a confidare nel dono di Cristo: grazia su grazia, il suo Spirito d’amore senza misura che ci attrae verso il cielo. 
Viviamo con la certezza della speranza: noi credenti in Cristo siamo ottimisti perchè ci lasciamo illuminare quotidianamente da lui; è lui che ci rassicura del fatto che sulla storia non si addensano soltanto le tenebre del peccato, ma continuano a brillare anche i riflessi della sua grazia e della sua verità.
Esprimiamo a Gesù, come il Precursore, tutto il nostro desiderio di conoscerlo, amarlo e imitarlo nella sua figliolanza nei confronti del Padre. Solo così illumineremo la nostra vita colma di speranza nella sua presenza tra noi. 

venerdì 6 dicembre 2019

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 8 dicembre 2019




La liturgia ambrosiana inserisce all’interno del cammino d’avvento la lettura del brano evangelico dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme proponendo alla meditazione di ciascuno l’episodio che caratterizza la domenica delle palme e l’inizio della settimana santa. In questo modo la liturgia mostra come Gesù sia quel Messia tanto atteso dal popolo di Israele capace di compiere le promesse che Dio ha fatto ai profeti lungo la storia. 
L’ingresso di Gesù a Gerusalemme cavalcando un’asina esplicita questo compimento: davanti agli occhi di tutti si avvera la profezia di Isaia “Ecco, a te viene il tuo re!” tanto che la gioia della folla si scioglie nel canto festoso: “Osanna al figlio di Davide”.
L’attesa, tipica dell’avvento, si traduce in questa quarta domenica in due atteggiamenti specifici la trepidazione e l’obbedienza. Innanzitutto la trepidazione della folla che accompagna questo ingresso con canti e gesti di esultanza. È la trepidazione per qualcosa di atteso, di sperato che finalmente si avvera, è una trepidazione contagiosa che coinvolge e chiama a raccolta. Dall’altra parte emerge l’obbedienza dei discepoli alle parole di Gesù: “andarono e fecero quello che aveva ordinato loro”. In questa obbedienza risuona l’invito insistente del Battista a “preparare la strada, raddrizzare i sentieri”, convertire il cuore. Attendere significa obbedire perché tutto sia pronto.
Questi due atteggiamenti, trepidazione e obbedienza, sono ripresi e approfonditi dalle due letture precedenti al Vangelo.
Nel brano di Isaia emerge forte la trepidazione del profeta con parole cariche di entusiasmo: “Consolate, consolate… alza la voce … ecco il vostro re, ecco il Signore viene…”. È importante raccogliere questa trepidazione, ci ricorda che il tempo è passato, il Natale si avvicina, ci richiama con forza all’urgenza di prendere sul serio i nostri propositi di conversione, il nostro desiderio di riconoscere e accogliere il Messia che viene. È la trepidazione che vince la noia, che risveglia dal torpore dell’abitudine, che attiva nuove capacità e nuove energie di sequela. L’attesa se non diventa trepidazione si affievolisce e si spegne perdendo di vista il desiderio del compimento.
Il brano tratto dalla lettera agli Ebrei, invece, sottolinea maggiormente l’altro atteggiamento che caratterizza l’attesa: l’obbedienza. “Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà”. Con queste parole, ripetute due volte, l’autore della lettera, immagina il dialogo tra il Figlio, Parola che deve farsi carne (“un corpo mi hai preparato”), e il Padre. Non è quindi un’obbedienza generica che asservisce ma il desiderio profondo che la volontà del Padre, nella quale è iscritto il senso delle cose e il compimento della felicità di ciascuno, si compia nella sua pienezza. Il Figlio Gesù intuisce che nella dinamica della libertà che si dona e si iscrive nell’obbedienza scaturisce una forza nuova: quella dell’amore. Amare significa anche obbedire nella libertà, obbedire con fiducia. Ecco perché non c’è attesa sincera e profonda che non sia anche obbedienza fiduciosa.
Maria, che in questi giorni contempliamo nella sua concezione immacolata e che ci accompagna al Natale come “la Vergine dell’attesa”, è colei che ha vissuto l’attesa della nascita di questo Figlio con obbedienza fiduciosa e che, col passare dei mesi, ha visto tramutare in trepidazione gioiosa. Ci aiuti lei, Madre di Dio e Madre nostra, a vivere questa ultima parte dell’avvento così, nell’obbedienza fiduciosa e nella trepidazione gioiosa!