giovedì 12 dicembre 2019

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 15 dicembre 2019


La missione di Giovanni il precursore, su cui si concentra questa quinta domenica di Avvento, è racchiudibile nella sua e nostra disponibilità a far venire il Signore tramite noi. Come il Precursore ha accolto il Verbo fatto carne, dandogli spazio nella propria esistenza, così siamo invitati a fare anche noi, specialmente in Avvento.
La pagina di Vangelo di oggi insiste sul tema della testimonianza cristiana. Giovanni dichiara di non essere lui la Luce, ma il Cristo: il centro luminoso non è il testimone ma l’oggetto della testimonianza. 
Possiamo così dire che il Precursore ha svolto il compito di pedagogo nel condurre chi lo ascoltava a Cristo, un compito che l’apostolo Paolo riconosce all’intera legge dell’Antico Testamento, come ci dice nell’Epistola (Gal 3,23-28). Il pedagogo nell’antica Grecia, aveva il compito di condurre a scuola il figlio del padrone, sorvegliandolo e custodendolo lungo il cammino, costringendolo ad andare a scuola. In modo simile la legge di Mosè ha svolto una funzione di sorveglianza e di costrizione nei confronti del popolo di Dio, anche se in modo negativo, benchè il suo scopo fosse positivo. Ma con l’avvento di Cristo la legge mosaica termina il suo ruolo: la carità evangelica deve prendere il suo posto come pienezza della legge. 
In questo senso Gesù è la luce del mondo, perchè illumina ogni uomo. In quanto luce sul nostro cammino egli ci indica la strada verso la casa del Padre; ma ci guida non tanto con insegnamenti, divieti e precetti, come faceva la legge di Mosè, quanto piuttosto col fascino del suo stile di vita da Figlio costantemente orientato verso il Padre. Gesù è per noi luce perchè ha illuminato, nella maniera più nitida possibile, l’origine e la meta dell’esistenza di ogni uomo, creato per amare e per essere amato da Dio. 
Cosa vuol dire per noi, allora, essere autenticamente testimoni cristiani? È anzitutto accogliere con fede nella propria vita Dio come ce lo ha manifestato Gesù, e poi lasciarlo trasparire agli altri con lo stesso stile di vita. Prima ancora di fare e parlare è questione di essere: cerchiamo di far diventare parola la nostra carne; come il Precursore mettiamogli a disposizione la nostra voce e tutto il nostro essere, ben sapendo che ne va della vita eterna, nostra e altrui. Continuiamo a confidare nel dono di Cristo: grazia su grazia, il suo Spirito d’amore senza misura che ci attrae verso il cielo. 
Viviamo con la certezza della speranza: noi credenti in Cristo siamo ottimisti perchè ci lasciamo illuminare quotidianamente da lui; è lui che ci rassicura del fatto che sulla storia non si addensano soltanto le tenebre del peccato, ma continuano a brillare anche i riflessi della sua grazia e della sua verità.
Esprimiamo a Gesù, come il Precursore, tutto il nostro desiderio di conoscerlo, amarlo e imitarlo nella sua figliolanza nei confronti del Padre. Solo così illumineremo la nostra vita colma di speranza nella sua presenza tra noi. 

venerdì 6 dicembre 2019

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 8 dicembre 2019




La liturgia ambrosiana inserisce all’interno del cammino d’avvento la lettura del brano evangelico dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme proponendo alla meditazione di ciascuno l’episodio che caratterizza la domenica delle palme e l’inizio della settimana santa. In questo modo la liturgia mostra come Gesù sia quel Messia tanto atteso dal popolo di Israele capace di compiere le promesse che Dio ha fatto ai profeti lungo la storia. 
L’ingresso di Gesù a Gerusalemme cavalcando un’asina esplicita questo compimento: davanti agli occhi di tutti si avvera la profezia di Isaia “Ecco, a te viene il tuo re!” tanto che la gioia della folla si scioglie nel canto festoso: “Osanna al figlio di Davide”.
L’attesa, tipica dell’avvento, si traduce in questa quarta domenica in due atteggiamenti specifici la trepidazione e l’obbedienza. Innanzitutto la trepidazione della folla che accompagna questo ingresso con canti e gesti di esultanza. È la trepidazione per qualcosa di atteso, di sperato che finalmente si avvera, è una trepidazione contagiosa che coinvolge e chiama a raccolta. Dall’altra parte emerge l’obbedienza dei discepoli alle parole di Gesù: “andarono e fecero quello che aveva ordinato loro”. In questa obbedienza risuona l’invito insistente del Battista a “preparare la strada, raddrizzare i sentieri”, convertire il cuore. Attendere significa obbedire perché tutto sia pronto.
Questi due atteggiamenti, trepidazione e obbedienza, sono ripresi e approfonditi dalle due letture precedenti al Vangelo.
Nel brano di Isaia emerge forte la trepidazione del profeta con parole cariche di entusiasmo: “Consolate, consolate… alza la voce … ecco il vostro re, ecco il Signore viene…”. È importante raccogliere questa trepidazione, ci ricorda che il tempo è passato, il Natale si avvicina, ci richiama con forza all’urgenza di prendere sul serio i nostri propositi di conversione, il nostro desiderio di riconoscere e accogliere il Messia che viene. È la trepidazione che vince la noia, che risveglia dal torpore dell’abitudine, che attiva nuove capacità e nuove energie di sequela. L’attesa se non diventa trepidazione si affievolisce e si spegne perdendo di vista il desiderio del compimento.
Il brano tratto dalla lettera agli Ebrei, invece, sottolinea maggiormente l’altro atteggiamento che caratterizza l’attesa: l’obbedienza. “Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà”. Con queste parole, ripetute due volte, l’autore della lettera, immagina il dialogo tra il Figlio, Parola che deve farsi carne (“un corpo mi hai preparato”), e il Padre. Non è quindi un’obbedienza generica che asservisce ma il desiderio profondo che la volontà del Padre, nella quale è iscritto il senso delle cose e il compimento della felicità di ciascuno, si compia nella sua pienezza. Il Figlio Gesù intuisce che nella dinamica della libertà che si dona e si iscrive nell’obbedienza scaturisce una forza nuova: quella dell’amore. Amare significa anche obbedire nella libertà, obbedire con fiducia. Ecco perché non c’è attesa sincera e profonda che non sia anche obbedienza fiduciosa.
Maria, che in questi giorni contempliamo nella sua concezione immacolata e che ci accompagna al Natale come “la Vergine dell’attesa”, è colei che ha vissuto l’attesa della nascita di questo Figlio con obbedienza fiduciosa e che, col passare dei mesi, ha visto tramutare in trepidazione gioiosa. Ci aiuti lei, Madre di Dio e Madre nostra, a vivere questa ultima parte dell’avvento così, nell’obbedienza fiduciosa e nella trepidazione gioiosa!

venerdì 29 novembre 2019

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 1 dicembre 2019

Nel Vangelo di oggi, Gesù esprime un'opinione su Giovanni Battista. Rispetto alle persone dell'Antico Testamento, non c'è nessuno più grande di Giovanni. Giovanni è il più grande di tutti: più grande di Geremia, più grande di Abramo, più grande di Isaia! Ma, rispetto al Nuovo Testamento, Giovanni è inferiore a tutti. Il più piccolo nel Regno è più grande di Giovanni! Come possiamo comprendere questa qualificazione apparentemente contraddittoria che Gesù rilasciò a riguardo di Giovanni?

Perché poco tempo prima, Giovanni aveva inviato dei messaggeri per chiedere a Gesù: "Sei tu quello che deve venire, o dobbiamo aspettarci qualcun altro?" (Mt 11: 3).

Se analizziamo la vita di Giovanni, notiamo che da solo non fu in grado di comprendere l'importanza del regno di Dio in Gesù. Ebbe infatti un dubbio: "Sei tu quello che deve venire, o dobbiamo aspettarci qualcun altro?" La storia antica da sola non comunica luce sufficiente per comprendere tutta la Buona Novella di Dio che Gesù stesso ci porta. Il nuovo era nascosto nel vecchio. Sant'Agostino disse: "Novum in Vetere latet, Vetus in Novo patet", che significa: "Il Nuovo è nascosto nell'Antico, ma l'Antico rivela il suo pieno significato nel Nuovo". Chi è con Gesù e vive con Lui riceve da Lui una luce che aiuta a scoprire un significato più profondo nell'Antico.

Gesù dunque rispose agli inviati di Giovanni citando il profeta Isaia: “Tornate indietro e raccontate a Giovanni quello che ascoltate e vedete; i ciechi vedono di nuovo, lo zoppo cammina, coloro che soffrono di malattie sono risanati, i sordi ascoltano, i morti vengono risvegliati e la buona notizia viene proclamata ai poveri, e beato chiunque non mi trovi causa di inciampo! ”(Mt 11: 5-6, cfr. Is 33: 5-6, 29:18). Una risposta difficile ... Gesù chiese dunque a Giovanni di analizzare meglio le Scritture per cambiare la visione errata che aveva del Messia e anche del progetto della propria vita.

Domande personali
• Gesù aiutò Giovanni a comprendere meglio i fatti per mezzo delle “Sacre Scritture”. La Bibbia mi aiuta a capire meglio gli eventi della mia vita?

- don Jojin Elanjickal

giovedì 21 novembre 2019

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 24 novembre 2019



Baruc 4,36 - 5,9
La tradizione identifica Baruc, l’autore del brano della prima lettura, con il segretariodel profeta Geremia, trascinato anche lui in esilio come il profeta. Egli si trova, dunque, a Babilonia tra i deportati, quando proclama la Parola che ascoltiamo.
Il brano liturgico ci propone un canto, traboccante di gioia, indirizzato a Gerusalemme. Con il ritorno dei suoi figli, purificati ormai dall’esilio, e con la ricostruzione delle sue rovine, essa tornerà ad essere la sposa splendente di Jahweh.
Gerusalemme riceve anche un nuovo nome: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà». È un nome, che racchiude il programma del futuro che si apre. 
«Pace di giustizia» indica che Gerusalemme sarà città della pace, che è frutto della giustizia, cioè della fedeltà alla Parola di Dio.
«Gloria di pietà» indica, poi, che Gerusalemme sarà città, in cui vive la gloria di Dio, che è il rapporto di pietà filiale con Lui.
Questa è anche la speranza del credente di oggi, che attende la venuta finale di Gesù e da Lui attende questi stessi doni.


Romani 15,1-13
Il brano è tratto dalla conclusione della lettera di Paolo ai cristiani di Roma. 
Nei capitoli precedenti, l’apostolo ha esortato ad agire come ha agito Gesù. Ma questa è una esortazione così carica di senso e ha dei risvolti così impensati, che Paolo sente di doversi soffermare ancora un po’, per spiegarla. 
Due aspetti, gli stanno a cuore in modo particolare: 
-      essere, come Cristo, solidali con i deboli (i primi 6 versetti del brano); 
-      accogliere, come Cristo, i fratelli (gli altri versetti).
Tutto questo Paolo sostiene, facendo riferimento alla Bibbia: infatti, scrive, «tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione».
Ecco perché anche per noi, credenti di oggi, è importante sapere ascoltare e leggere la Parola di Dio. 
Ecco perché vorremmo che anche nelle nostre comunità prendessero piede, come ci raccomanda pure l’Arcivescovo, i Gruppi di ascolto della Parola di Dio.

Luca 3,1-18
Luca annota con precisione l’inizio della predicazione del Battista, che era considerata allora come il momento dell’inizio della salvezza di Gesù. 
dati di Luca sono esatti, come risulta dalle iscrizioni e dagli storici antichi. Siamo, dunque, nell’anno quindicesimo del regno dell’imperatore Tiberio, che regnò dal 14 al 37d.C. Ci troviamo, dunque, nell’anno 28-29 della nostra era. 
Ma con queste indicazioni cronologiche, Luca vuol farci capire soprattutto che la vicenda di Gesù si pone al centro della storia e ha un valore non solo per gli ebrei, ma per tutti i popoli, come sottolinea il versetto «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio».
Questa vicenda di salvezza universale comincia con la «venuta» della Parola di Dio su Giovanni Battista. Quando la Parola irrompe nella storia, imprime sempre svolte radicali. Eppure queste svolte sono visibili soltanto alla fede: il mondo non se ne accorge neppure. 
C’è già qui un primo insegnamento: imparare a puntare gli occhi sui germi ricchi di sviluppo, non sulle cose - magari clamorose - ma già morte.
Alle folle che vengono da lui, poi, Giovanni non impone il proprio modo di vivere nel deserto. Tutti possono restare dove sono; ma devono avere una grande limpidezza interiore, che porti a un cambiamento in profondità, che sia possibile nelle condizioni particolari delle diverse categorie di persone.
È un programma concreto e quotidiano anche per il nostro Avvento.
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venerdì 15 novembre 2019

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 17 novembre 2019

«Viene il nostro Dio, viene e si manifesta»

Is 51,4-8; Sal 49 (50); 2Ts 2,1-14; Mt 24,1-31


C'è una fine, ci sarà una fine del mondo, alla venuta di Cristo come giudice. Ma non è vicina. Quindi richiede impegno e pazienza nell'attesa. Anche perché diventerà sempre più difficile: ci saranno prove e tradimento. L'iniquo agisce. La fede si raffredderà. Si vedranno situazioni sempre peggiori! Siate dunque vigilanti e fermi. Non credete ai falsi messia che promettono altre salvezze rispetto a  quella di Cristo.
Come è attuale questo annuncio. Il giudizio di Dio sul male nel mondo lo invochiamo tutti, e troppo si fa attendere! Dio sembra non esista, o sia latitante. Crescono le forme di distacco dalla fede, i tradimenti, e le persecuzioni e l'emarginazione dei credenti, e in particolare dei cristiani. Qualcuno ha scritto, molti di più lo pensano, che la Chiesa sia al tramonto. Come vivere allora questi momenti? E quelli futuri che speriamo non siano peggiori e ci turbano? Ma Dio sostiene quelli che gli sono fedeli pur nelle prove. E alla fine il giorno - improvviso - verrà per il giusto giudizio e per la liberazione.

La distruzione di Gerusalemme nell'anno 70 fu preceduta da un tempo di disordini sociali, paure, fughe, e anche di raffreddamento della fede e apostasia dal giudaismo. L'evangelista proietta quella esperienza su quanto accadrà alla fine del mondo, e - più in generale - quanto accade nella attesa lunga della venuta finale di Cristo giudice, che molti pensavano - o auspicano ancora oggi - prossima. L'evento sarà decisivo per le sorti del mondo, ma decisivo anche per l'atteggiamento giusto da vivere oggi nella storia. L'attesa è impegnativa e dura, quasi - dice Paolo (Rm 8,22) - come un parto difficile, con le sue doglie, per generare "un cielo nuovo e una terra nuova" (Ap 21,1). Vi agisce dentro "il mistero dell'iniquità, già in atto" (Epistola). Buon grano e zizzania devono convivere insieme: tempo di lotta, di vigilanza e di pazienza.
Chi è "l'uomo dell'iniquità, il figlio della perdizione, l'avversario", che già opera e si manifesterà ulteriormente "nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell'iniquità"? Anzi "si innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, pretendendo di essere Dio" (Epistola). è la realizzazione limite del peccato, la malvagità senza maschera, in sostanza l'impero del male che si manifesterà sempre più sfacciatamente, e sembrerà dominare tutto! Per fortuna, "grazie agli eletti" (Vangelo), questo scatenarsi dell'Anticristo viene in qualche modo impedito o limitato. Sarà comunque, per tutti, tempo di scelte difficili. "Per il dilagare dell'iniquità, si raffredderà l'amore di molti": anche il numero che diminuisce (di preti, di praticanti!) sarà motivo di scoraggiamento.
Nel marasma delle contraddizioni (oggi si potrebbe dire: nell'impero del relativismo!) "sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti". Proposte - affascinanti - di salvezza alternativa invaderanno la storia (pensiamo alla "dea ragione", alla divinizzazione della scienza, al messianismo marxista, ai vari "uomini della provvidenza" che incantano gli ingenui, e alle più immediate forme di evasione e il culto di ogni libertà individuale!). "Non credeteci", avverte Gesù. Se la lotta si fa più dura, "non è ancora la fine". Resistere con fiducia nella potenza di Dio, perché "chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato".

"Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria". Proprio quando più forte sarà lo scatenarsi del male, "il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua gloria" (Epistola). È l'annuncio e la certezza che l’ultima parola sarà del Giudice definitivo e chiuderà il tempo delle libertà umane impazzite. Non ci sono previsioni sul quando: "Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo". Del resto per la nostra fine personale, .. spesso basta un ictus. C'è solo da rimanere fedeli alla chiamata battesimale, "perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, per mezzo dello Spirito santificatore e della fede nella verità" (Epistola). Cioè stare sul binario giusto della fede e dei sacramenti.
L'importante è sapere che in questo campo di aspra battaglia per la vita e per la salvezza, il primo scontro - il primo round decisivo e vincente - è già avvenuto, ad opera di Cristo. Se l'attesa dell'uomo è sapere se il bene vinca sul male, se Dio vinca su satana e il mondo, deve riconoscere che questo è già avvenuto. Si tratta di essere sicuri - ed è quanto abbiamo proclamato oggi - che a questo primo scontro decisivo seguirà il colpo di grazia definitivo, finale, la manifestazione esplicita ed esclusiva della signoria di Cristo. Ora è il tempo delle nostre scelte, della nostra perseverante attesa. Dice il prefazio oggi: "Con la sua prima venuta nell'umiltà della carne Egli portò a compimento l'antica speranza e aprì il passaggio alla eterna salvezza; quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa".

"Non temete l'insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni" (Lettura). In una cultura dell'efficienza, per lo più tecnologica e materiale, la fede è emarginata e derisa, vista come insignificante. Anche perché il bene, interiore e nascosto quale è quello del cuore e della libertà sana, non fa cronaca né fracasso. L'efficacia del seme e del lievito, cioè l'operare della grazia, e quindi della santità, non attinge allo schermo televisivo. Anche da questo è facile che "si raffreddi l'amore di molti". Come rimedio non c'è che fare continuamente memoria della vera forza - della verità - che guida la storia umana ben oltre l'agitarsi delle singole libertà: "La mia giustizia - dice il Signore - durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione" (Lettura).

Vivere l’Avvento significa coltivare la speranza. “La speranza è la risposta alla promessa, nasce dall’accogliere la Parola che viene da Dio e chiama alla vita, alla vita eterna. È fondata sulla fede, cioè sulla relazione con Dio che si è rivelato nel suo Figlio Gesù come Padre misericordioso e ha reso possibile partecipare alla sua vita con il dono dello Spirito Santo. Non sono le risorse e i desideri umani a delineare che cosa sia sensato sperare, ma la promessa di Dio. Lo sguardo può spingersi avanti, avanti, fino alla fine, perché l’esito della vita non è la morte, ma la gloria, la comunione perfetta e felice nella Santissima Trinità”. (Mario Delpini)
Riflessioni di don Bruno Maggioni
Dove ho riposto la mia speranza? Affido la mia vita a Gesù, giusto Giudice e avvocato presso il Padre? Come intendo vivere questo tempo di Avvento? Cosa significa concretamente per me aspettare la venuta di Gesù?
La Parola diventa preghiera
Avvento, tempo dell'attesa e della speranza:
è la tua venuta, o Cristo, che vogliamo rivivere,
preparandoci più profondamente
nella fede e nell’amore.

Avvento, tempo della Chiesa affamata del Salvatore:
essa vuole ripeterti, volgendosi a te
con più insistenza, con un lungo sguardo,
che tu sei tutto per lei.

Avvento, tempo dei desideri più nobili dell'uomo
che più coscientemente convergono verso di te,
e che devono cercare in te, nel tuo mistero,
il loro compimento.

Avvento, tempo di silenzio e di raccoglimento,
in cui ci sforziamo d'ascoltare la Parola
che vuol venire a noi,
e di sentire i passi che si avvicinano.

Avvento, tempo dell'accoglienza
in cui tutto cerca di aprirsi,
in cui tutto vuol dilatarsi nei nostri cuori troppo stretti,
al fine di ricevere la grandezza infinita
del Dio che viene a noi.
Amen

(Jean Galot)

sabato 24 agosto 2019

Viaggio Pellegrinaggio Francia 2019 - Mont-Saint-Michel Michelle

Ancora una giornata meravigliosa!
Alle 8.00 prendiamo la navetta che porta a Mont Saint-Michel. L’isola prende il nome dal santo protettore San Michele Arcangelo, a cui è dedicata l’imponente Abbazia. Aspettiamo l’arrivo della nostra guida Magali. Iniziamo la visita percorrendo l’unica via di questo piccolo comune che conta diciotto abitanti ma che durante l’anno vede l’affluenza di tre milioni e duecentomila persone. Dopo una breve sosta presso la Chiesa parrocchiale dove celebreremo alle 11.30 proseguiamo la nostra visita. La guida ci parla delle maree e degli inizi della vita sull’isola. La leggenda narra che l'arcangelo Michele sia apparso tre volte in sogno al vescovo d'Avranches, Aubert, ordinandogli di costruire una chiesa in suo onore su quel piccolo isolotto roccioso. Le prime due volte il vescovo ignorò le richieste del Santo finché questi gli perforò il cranio con un tocco del suo dito e solo allora il vescovo si decise ad adempiere alle richieste dell’arcangelo. Era il 16 ottobre del 709 quando il vescovo Aubert fece consacrare la prima chiesa e da allora non ha cessato di attirare pellegrini e tanti curiosi da ogni parte del mondo.
L’abbazia benedettina fu edificata a partire dal X secolo con parti giustapposte che si sono sovrapposte le une alle altre negli stili che vanno dal carolingio al romanico al gotico flamboyant. I diversi edifici necessari alle attività del monastero benedettino sono stati inseriti nello spazio angusto a disposizione. Due comunità di monaci e monache presenti nell'Abbazia garantiscono la preghiera quotidiana.Indescrivibile la vista che si apre sulla baia dalla terrazza dell'Ovest (il sagrato). Entriamo nell’Abbazia e preghiamo con la preghiera che il Papa ha invitato a pregare nella lotta quotidiana contro il male. Interessante l’annotazione che ci indica come ci siano quattro luoghi dedicati a San Michele costruiti su luoghi montuosi disposti lungo una linea alla stessa distanza: Skelling Michael in Irlanda, Mont Saint Michelle in Francia, Sacra di San Michele e Santuario di San Michele Arcangelo in Italia. Su quest’asse in realtà si trovano altri tre santuari dedicati a San Michele: Saint Micheal’s Mount in Cornovaglia, Monastero di Symi in Grecia e il Monte Carmelo in Israele.
Dopo la Cattedrale entriamo nel meraviglioso chiostro “la meraviglia”, nella cripta, nei refettori dei monaci, dei nobili e dei poveri; nella biblioteca. La Cattedrale è costruita su quattro chiese poste a ciascuno dei lati della croce a base latina, che hanno costituito il piano sul quale innalzare l’edificio. 
Salutiamo la nostra ottima guida e ci rechiamo alla Chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro. Ci accoglie don Francis, presbitero originario del Camerun, che sta aiutando i due sacerdoti dell’isola in questo tempo estivo. Le offerte che raccoglieremo durante l’Eucaristia sono per un progetto di ricostruzione di una scuola distrutta da un’alluvione. È memoria di San Bartolomeo, gli apostoli ci riportano sempre all’origine della nostra esperienza di fede e il loro martirio alla serietà del cammino della fede. Don Roberto commentando l’episodio di Filippo che guida Natanaele all’incontro con Gesù ci ricorda tutti coloro che sono stati per noi testimoni della fede e ci hanno indicato con il loro esempio come cercare il Signore. Il luogo che visitiamo infine ci parla della lotta contro il male, il male in noi e quello che subiamo. Chiediamo per intercessione di San Michele di saper lottare contro ogni forma di male. 
Dopo la messa abbiamo del tempo libero prima di riprendere la navetta che ci porterà di nuovo al villaggio per il pranzo. Cartoline, souvenir, ma anche assaggio di cidro servito in caratteristiche ciotole.
Dopo il pranzo riprendiamo il pullman per raggiungere Tours. Il viaggio è lungo ma l’ottima e sicura guida di Oliviero ci porta sicuri all’Hotel Ibis Style di Tours Sud. È un hotel di periferia, dopo cena proviamo ad avventurarci per le vie intorno all’albergo ma non troviamo nulla di interessante. Chi sale in camera, chi si ferma al bar, è l’occasione per dialogare, conoscersi. Negli occhi abbiamo ancora lo straordinario spettacolo della Cattedrale di Sant Michelle, lo stupore per quella magnificenza e per come uomini abbiano portato su quello sperone di roccia, legno, pietre, cibo , sfidando le maree, per vivere un’esperienza che non è finita, una storia che continua ed è una meraviglia. 

Buona notte.

venerdì 23 agosto 2019

Viaggio Pellegrinaggio Francia 2019 - Rouen

Au revoir Paris!
Si parte per Rouen perla della Normandia. Incastonata fra la Senna e il mare Rouen è rimasta magicamente illesa dalle devastazioni della guerra e conserva non solo una delle più eccezionali cattedrali gotiche d’Europa ma un centro storico senza pari, che conserva un cuore medievale con più di duecento case a graticcio autentiche sopravvissute non solo al secondo conflitto mondiale ma anche alla Guerra dei Cent’anni. Qui inoltre trovò la morte sul rogo Giovanna d’Arco. Incontriamo la nostra guida Luisa che attraverso le vie del centro storico ci porta a visitare la Cattedrale mostrandoci le case a graticcio le più antiche costruite con legno di quercia e gesso le più recenti con mattoni. Passiamo davanti alla splendida Chiesa di Saint Maclou, straordinario esempio di gotico fiorito, ma non possiamo entrarvi perché è chiusa. Arriviamo alla cattedrale Notre-Dame ed entriamo dalla torre nord detta di San Romano, patrono della città. Eretta nel 1185 fu la prima costruzione della cattedrale gotica. Venne poi sopraelevata in stile fiammeggiante nel 1468-78 fino a raggiungere l'altezza di 82 metri. All’interno incontriamo subito la scala della libreria e veniamo introdotti alla lettura dell’architettura del meraviglioso edificio. Luisa ci parla delle vetrate in parte perdute durante la guerra. Percorriamo il deambulatorio dove troviamo alcune tombe e tra queste quella che custodisce il cuore di Riccardo Cuor di Leone. Nell’abside le cappelle dei Santi Andrea e Bartolomeo, della Vergine e dei Santi Pietro e Paolo.
Percorriamo la navata centrale e usciamo dalla porta di San Giovanni, dalla piazza la nostra attenzione viene richiamata sul portale di Santo Stefano e su quello di Nostra Signora. Possiamo anche cogliere il pizzo di pietra che svetta verso il cielo, la Torre di Burro (chiamata così perché realizzata con i proventi della tassa su coloro che volevano mangiare burro durante la quaresima) e sulla Torre Centrale che svetta per 151 metri. Ci viene ricordato anche che Monet realizzò circa una trentina di tele ispirate da questa Cattedrale bellissima con qualsiasi condizione atmosferica. Noi ci godiamo lo spettacolo immersi nella luce di una giornata soleggiata.
Lasciamo la cattedrale e subito ci imbattiamo nel Gros-Horloge posto all’inizio della via omonima. Le due facce del Grand'Orologio, nel 1389 e montato nella posizione attuale nel 1529, adornano l'elegante arco che lo accoglie al suo interno. Al centro dell'orologio noterete un sole dorato a 24 raggi in uno sfondo di cielo stellato. L'oculo in cima al quadrante ospita una sfera che indica le fasi lunari (ma la guida dice che da un po’ di tempo è sempre nella stessa posizione). Sotto la raggiera, si trova un'apertura quadrangolare che ospita scene allegoriche raffiguranti i giorni della settimana. L’orologio funziona ma non è preciso, forse perché non siamo in Svizzera?
Ci rechiamo in uno dei luoghi simbolo di questa affascinante città:  Place du Vieux-Marché dove nel medioevo venivano eseguite le condanne capitali compresa quella di Giovanna d’Arco nel 1431. La memoria della giovane Pulzella di Orleans pervade la città: lapidi, statue e la Chiesa a lei dedicata. La storia di questa Santa uccisa con un pretesto religioso, tradita dalla sua Francia ci interroga e ci riporta ad un tempo fatto di intrighi, battaglie, pregiudizi, corruzione e santità. Santa Giovanna oggi patrona di Francia è “raccontata” nelle vetrate che abbelliscono la chiesa moderna a lei dedicata. Non c’è una tomba dove pregarla ma spesso la tomba degli eroi è il cuore della gente. 
Salutiamo la nostra guida e ci rechiamo a pranzo. Il ristorante Les Maraichers guarda proprio sulla Piazza che abbiamo appena visitato. Un tortino di formaggio Camembert in crosta con mele si presenta come novità dei nostri appuntamenti gastronomici, come anche il dolce tipico francese che ci viene proposto, l’Ile flottante una nuvola di meringa su crema inglese.
Alle 14.30 abbiamo l’appuntamento della Messa in cattedrale. Ci accoglie il gentilissimo sacrista Olivier. Celebriamo in una bellissima cappella nascosta nella bellissima Sacrestia. La scelta di farci celebrare qui è per metterci al riparo dal possibile disturbo che il passaggio dei numerosi turisti potrebbe recarci. Nell’omelia don Roberto prendendo spunto dal vangelo fa riferimento all’ipocrisia che decretò la morte di Giovanna e alla sua successiva riabilitazione. In realtà anche al tempo dell’ingiusta sentenza ci furono uomini che cercarono di difendere la giovane ma certamente è sempre presente il rischio di sacrificare qualcuno per interessi privati. In questi giorni abbiamo ascoltato di guerre di religione, di roghi, di uomini che “hanno imposto su altri pesi che loro non hanno neppure toccato con un dito”, “che hanno chiuso il cuore alla Verità impedendo che anche i più piccoli ne potessero godere”. Abbiamo il dovere di conoscere, di informarci e approfondire la storia, anche quella del cristianesimo per non essere anche noi tra quelli che danno giudizi sommari o parlano senza saper rendere conto delle proprie affermazioni.
Un’ultima sguardo alla Cattedrale e poi di nuovo sul pullman, Mont Saint Michelle è la prossima meta.

Arriviamo all’Hotel Gabriel posto in un villaggio che dista circa due chilometri dall’Abbazia. Ceniamo a La Rosticerie e poi decidiamo di incamminarci verso questo luogo reso ancora più “magico” dalla luce del giorno che si spegne e dall’illuminazione che punteggia l’isola accessibile solo con la bassa marea. Dal 2013 si può arrivare al piccolo paese solo a piedi o attraverso navette. Proviamo a carpire delle immagini con macchine fotografiche e cellulari ma soprattutto lasciamo che il fascino di questo luogo ci pervada e ci riporti nel passato. Allora le immagini si scolpiscono nel cuore, lo stupore spegne le parole, il silenzio che fino dall’VIII secolo era cercato dai primi monaci bussa all’anima e chiede di considerare che questo luogo è diventato così solo perché qui gli uomini hanno cercato Dio. Questa sera possiamo dire veramente: dormiamo in pace!