venerdì 15 marzo 2019

Introduzione alla Liturgia della Parola di domenica 17 marzo 2019 - II di Quaresima


“Sono io che parlo con te” è la frase che più stupisce nella liturgia della Parola di questa seconda domenica di Quaresima. Questa risposta di Gesù alla donna samaritana possiamo intenderla come una dichiarazione di identità di Gesù stesso a tutti noi che siamo bisognosi di acqua viva. É Gesù stesso che si presenta alla donna samaritana in un modo speciale: è un’epifania secondo un giovane che domenica scorsa ha condiviso durante la lettura comune della Parola delle intuizioni che lo Spirito gli ha messo nel cuore. Ma epifania di cosa, di chi? Epifania cioè manifestazione di quel Gesù che forse non conosceremo mai pienamente, per fortuna, se ogni volta che incontriamo un brano di Vangelo ci stupisce per il suo essere e il suo agire. Questa è una grazia che deve lasciarci sereni: nessuno è in grado di comprendere la Scrittura completamente se non Dio stesso che l’ha pronunciata. 
Domenica scorsa abbiamo incontrato Gesù che era affamato, oggi Gesù ha sete. L’evangelista Giovanni tramite questo episodio presso il pozzo di Sicar (Gv 4,5-42) ci aiuta a prender coscienza che tutti, senza eccezioni, abbiamo sete. Ma sete di cosa? Di una vita felice ed eterna con Dio come per la Samaritana. Ma entriamo nei particolari di questa pericope per comprender di più cosa dice alla nostra esistenza.
Innanzitutto Gesù non si fa problemi a fermarsi presso quel pozzo intriso di storia e tradizione (è il pozzo di Giacobbe dove ebbe luogo l’innamoramento tra Giacobbe stesso e Rebecca) e a parlare con una donna che è anche una samaritana (cioè un’eretica per i giudei come Gesù) e per di più di facili costumi. Gesù rischia molto: è sconveniente che un uomo sia da solo con un donna presso quel pozzo; Gesù poi non fa conti: vuole parlare comunque con una samaritana di razza impura. Gesù in quel luogo intavola un discorso con la donna che viveva in una situazione matrimoniale irregolare e che era inconsapevolmente assetata di acqua viva che non si trova nei pozzi (Gv 4,15). E forse Gesù non si è fermato casualmente presso quel pozzo: lui sa che nel cuore di tutti arde una sete inestinguibile di gioia, di vita e di amore, che solo lui è capace di saziare. Ma anche Gesù ha sete: dice infatti alla donna “dammi da bere” (Gv 4,7). Ma quale è la sete di Gesù? Gesù ha sete di dissetare la sete altrui. E questo è il desiderio che spinse Cristo quel giorno a intrattenersi con la samaritana, e oggi con ciascuno di noi. Anche se pensiamo di essere un po’ come la samaritana, cioè indegni di incontrare uno come Gesù.
A partire da quella duplice sete, di felicità della donna e di corrispondere a questa felicità di Cristo, scaturisce un dialogo tutt’altro che superficiale presso quel pozzo. Ne nasce un confronto articolato e non vuoto di sottintesi ed equivoci. Un dialogo che ad un certo punto vede lo scambiarsi di ruoli: Gesù all’inizio chiede da bere e poi si ritrova a dissetare quella donna che era l’unica, al momento, a poter saziare la sua sete fisica... ma poi si ritrova ristorata per la vita eterna da un’acqua viva.
Gesù senza troppi giri di parole dice chiaramente che per dissetare la nostra sete di felicità non bastano le cose materiali: occorre una fonte inesauribile di vita che solo lui può garantire. E a questa fonte possono accedere tutti, anche chi vive in situazioni irregolari (e non solo matrimoniali). La samaritana, e noi con lei, ha incontrato un Gesù attento alla persona più che alla sua condizione; Gesù è uno che guarda in profondità senza fermarsi alla superficialità.
Paolo stesso nell’epistola ci ricorda di questa profondità di Gesù, nella lettera ai Galati (Gal 5,13-6,10). Ci esorta a imitare lo stesso spirito di debolezza di Gesù nei confronti di chi ha commesso nella vita qualche colpa (Gal 6,1): ci invita a non giudicare certe situazioni morali delicate, piuttosto ad imparare da Gesù a farci carico anche di quelle persone che sono 
fragili quanto lo siamo noi, che hanno sbagliato come possiamo sbagliare noi, che amano come vogliamo amare noi. Possiamo fare anche noi come Gesù che cerca di rinfrancare l’anima e illuminare gli occhi della samaritana, tentando di deporle nel cuore una parola capace di aiutarla ad amare Dio e a camminare nelle sue vie, tenendosi unita a lui come ci insegna la lettura ( Dt 11,18-28), oppure fermarci alla superficialità del giudizio che diviene pregiudizio armato pronto ad incriminare e uccidere anche con l’esclusione e l’isolamento. 

Chiediamo in questa settimana di Quaresima di avere la grazia di assomigliare un po’ di più a Cristo nella stessa mitezza che lo spinse a non umiliare la samaritana per la sua vita peccaminosa, ma l’ha ricondotta gradualmente a Dio: non siamo Gesù ma piccoli passi possiamo farli con Lui. Magari saremo noi un giorno a trovarci presso quel pozzo, a mezzogiorno, ad attingere acqua senza che nessuno ci veda... e ci piacerebbe essere trattati come è stata trattata la samaritana. Con amore. 

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