sabato 13 novembre 2021

In Principio la Parola - 14 novembre 2021

Prima domenica di Avvento

14 novembre 2021


Tutti viviamo d'attesa. Di un mondo più giusto? Ci sforziamo di farlo migliore; ma non ci speriamo più troppo! Allora dobbiamo vivere da rassegnati, senza speranza, e quindi nel relativismo che ride della verità e di una giustizia possibile? Si può vivere senza futuro? Sarà sempre così umiliata la condizione umana, e fino a quando?


La Parola di Dio oggi ci dice che un termine ci sarà, e quindi una giustizia sarà fatta. Vale allora ancora la pena di lottare, di costruire il bene perché avrà uno sbocco positivo; di continuare ad essere autentici e testimoni di un mondo futuro che non avrà discontinuità con l'eterno. "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria”.


L'Avvento che incomincia ci educa a questa attesa, chiedendoci di non spaventarsi di fronte a un mondo sempre più difficile (e forse ostile), e di perseverare nel bene "come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità" (II^ lettura).


IL GIUDIZIO

Un fatto come la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio famoso fu interpretato dai contemporanei come "la fine del mondo". Del resto capita ad ogni epoca quando "si sente di guerre e di rivoluzioni", di "nazione contro nazione e regno contro regno", di "terremoti, carestie, pestilenze", e persino "fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo". Sono certamente i segni di un mondo che non è definitivo, e quindi che la nostra vita è precaria: "non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta". È finito il mito del progresso continuo, e si prospetta l’autodistruzione del pianeta...

La paura della morte sta sempre in agguato in fondo al cuore di ogni uomo.


Effettivamente una fine ci sarà, un giudizio sarà fatto che ribalterà le sorti dell'umanità: "Ecco il giorno del Signore arriva implacabile.. per sterminare i peccatori. Io punirò nel mondo la malvagità e negli empi la loro iniquità. Farò cessare la superbia dei protervi e umilierò l'orgoglio dei tiranni" (I^ lettura). Anche il creato - quasi ad agitarsi per un parto nuovo - sarà scombussolato: "Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra". Si abbassi almeno la superbia del nostro mondo che si crede eterno...! Per il credente tutto ciò è però segno che il mondo nuovo si avvicina: "Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina".


Il ritorno glorioso di Cristo come Giudice, sarà il compimento della sua promessa di salvezza: "Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria - diciamo oggi nel prefazio - potremo ottenere in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell'attesa". Certo che tutto finisce, ma per chi s'affida a Dio, è, alla fine, una nuova creazione, una nuova nascita, più precisamente; sarà quell'incontro dello Sposo con la Sposa - la Chiesa - con cui termina il libro dell'Apocalisse: "Vidi un cielo nuovo e una nuova terra: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo" (21,1-2).


LA TESTIMONIANZA

Con questa fiducia, il cristiano sopporta con serenità tutto l'agitarsi degli uomini e del cosmo, sentendosi sicuro nelle buone mani di Dio. Per cui non crede ad altri "salvatori" ma solo a Gesù Cristo. "Molti verranno nel mio nome dicendo: Sono io. Non andate dietro a loro". È il disincanto di noi credenti di fronte ad ogni ideologia o sistema politico-economico, sempre insufficienti a salvare l'uomo dalle sue crisi e fragilità: "Badate di non lasciatevi ingannare". È per lui tempo di prova, di persecuzione e di scelte difficili. "Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome". Ad ogni rivoluzione o scombussolamento politico, i primi a portarne le conseguenze sono i cristiani; anche perché sono quelli che danno fastidio ad ogni regime totalitario, sudditi come sono di un unico Signore, il nostro Signore Gesù Cristo.


Del resto il credente, rispetto al riferimento del mondo, ha una concezione radicalmente diversa. Oggi più di ieri aumenta la distanza: il riferimento all'eterno rispetto all'immediato, il riferimento all'onestà rispetto all'edonismo, il riferimento a una vita seria e coerente rispetto "alle volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - cioè nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio" (II^ lettura). Capita allora di essere "traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome". Storia contemporanea, storia di persecuzione in molte parti del mondo, nello scontro di civiltà e culture tanto diverse dal vangelo.


È il dramma del Chiesa, la difficile scelta di credere e attendere la seconda venuta di Cristo, è la prova della nostra fede. "Avrete allora occasione di dare testimonianza; con la vostra perseveranza salverete la vostra vita". Ma non si è soli in questa lotta e la vittoria è sicura: "Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto". Non c'è d'aver paura: "Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere". Gesù un giorno ebbe a dire: "Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33). "Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede" (1Gv 5,4).


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Un tal modo di guardare la fine del mondo - non isterico o spaventato, non deluso o rinunciatario quasi un giudizio non ci sia, consapevole della drammaticità delle scelte - non allontana noi cristiani dalla storia, al contrario ne fa gli unici artefici pieni di speranza proprio perché crediamo alla vittoria di Cristo, la vittoria del bene sul male.

Da qui l'esortazione di Paolo a "camminare nella carità, nel modo con cui Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi", nel nostro impegno nella storia, a voler anticipare quel regno di Dio che Cristo ora ha affidato a noi da costruire.

Un'attesa operosa è quella del credente per l'avvento finale, di cui questo Avvento liturgico vuol essere memoria ed educazione.

(don Bruno Maggioni)

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