É il giorno del pellegrinaggio al Campus Misericordiae dove attenderemo l'arrivo di Papa Francesco, vivremo la veglia questa sera e la Santa Messa domani mattina.
I nostri amici, le nostre famiglie si superano nell'offrirci una nuova ottima colazione e tanti doni. Il pane si moltiplica e così sono tre i pani che portiamo con noi e che saranno il nostro cibo prima dell'arrivo dei sacchetti contenenti gli alimenti fino a domani pomeriggio.
Prima di avviarci verso il Campus celebriamo la Santa Messa insieme agli amici di Lissone e a due sacerdoti don Giovanni polacco e don Giuseppe ucraino. Don Riccardo commentando il Vangelo della morte di Giovanni il Battista ci invita a non imitare tristemente Salome che spreca la sua vita e i suoi desideri per assecondare quello della madre.
La messa è sempre rendimento di grazie ma in alcune occasioni raccoglie anche esperienze particolari come questa che abbiamo vissuto: grazie Signore per aver posto sul nostro cammino: Anja, Adam, Kacper, Julia, Marek, Bartek, Adrian, Stanislavska, Derek, Victor, Macek e tanti tanti altri...
Dopo il rituale della festa di gruppo iniziamo il cammino verso il Campus. La Provvidenza ha concesso che non fossimo molto lontano dal settore a noi assegnato, B6. Una mezz'ora di cammino e siamo arrivati. Iniziamo ad occupare lo spazio che sarà la nostra casa per le prossime 24 ore. Intanto migliaia di persone iniziamo a riempire gli spazi. Piccole opere di ingegneria trasformano dei teli di plastica, dei rami raccolti nei boschi vicini in ospitali capanne che permettono ad alcuni di mettersi al riparo dal sole cocente, e un poco al fresco l'essenziale bene che è l'acqua.
Ciascuno gestisce il tempo in modo diverso: incontrando amici presenti nel nostro settore, o in altri (quando le guardie e i volontari permettono di uscire); giocando a carte; chiacchierando; scrivendo; scambiando gadget; pregando.
È difficile spiegare il clima che si crea in noi e intorno a noi. Un brulichio di persone, un formicaio disordinato e curioso, colorato e chiassoso.
Arriva il Papa!
La veglia ha una struttura semplice: tre testimonianze, la parola di Francesco, l'adorazione eucaristica, il rito della luce. Le testimonianze alzano subito il livello dell'attenzione e poi le parole attese:
"siamo consapevoli di una realtà: per noi, oggi e qui, provenienti da diverse parti del mondo, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più una cosa anonima, per noi non sono più una notizia della stampa, hanno un nome, un volto, una storia, una vicinanza".
Noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere, non vogliamo insultare. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia".
"La paralisi ci fa perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. Ci allontana dagli altri, ci impedisce di stringere la mano".
"Ma nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la FELICITÀ con un DIVANO / KANAPA! Sì, credere che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri. La “divano-felicità” / “kanapa-szczęście” è probabilmente la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più, che può rovinare di più la gioventù. Sicuramente, per molti è più facile e vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per molti questo risulta più conveniente che avere giovani svegli, desiderosi di rispondere, di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore. Cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. E’ molto triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà. Non siamo liberi di lasciare un’impronta. Perdiamo la libertà. Questo è il prezzo. E c’è tanta gente che vuole che i giovani non siano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole bene, che vi vuole intontiti, imbambolati, addormentati, ma mai liberi. No, questo no! Dobbiamo difendere la nostra libertà!
Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signore del sempre “oltre”. Gesù non è il Signore del confort, della sicurezza e della comodità. Per seguire Gesù, bisogna avere una dose di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia. Andare per le strade seguendo la “pazzia” del nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimola a pensare un’economia più solidale di questa. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita a portare la Buona Notizia, facendo della propria vita un dono a Lui e agli altri. E questo significa essere coraggiosi, questo significa essere liberi!
Potrete dirmi: Padre, ma questo non è per tutti, è solo per alcuni eletti! Sì, è vero, e questi eletti sono tutti quelli che sono disposti a condividere la loro vita con gli altri. Allo stesso modo in cui lo Spirito Santo trasformò il cuore dei discepoli nel giorno di Pentecoste così lo fa con i suoi amici.
Questo è il segreto, cari amici, che tutti siamo chiamati a sperimentare. Dio aspetta qualcosa da te. Avete capito? Dio aspetta qualcosa da te, Dio vuole qualcosa da te, Dio aspetta te. Dio viene a rompere le nostre chiusure, viene ad aprire le porte delle nostre vite, delle nostre visioni, dei nostri sguardi. Dio viene ad aprire tutto ciò che ti chiude. Ti sta invitando a sognare, vuole farti vedere che il mondo con te può essere diverso. E’ così: se tu non ci metti il meglio di te, il mondo non sarà diverso. E’ una sfida.
Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani-divano / młodzi kanapowi, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora, con gli scarponcini calzati. Questo tempo accetta solo giocatori titolari in campo, non c’è posto per riserve. Il mondo di oggi vi chiede di essere protagonisti della storia perché la vita è bella sempre che vogliamo viverla, sempre che vogliamo lasciare un’impronta. La storia oggi ci chiede di difendere la nostra dignità e non lasciare che siano altri a decidere il nostro futuro. No! Noi dobbiamo decidere il nostro futuro, voi il vostro futuro! Il Signore, come a Pentecoste, vuole realizzare uno dei più grandi miracoli che possiamo sperimentare: far sì che le tue mani, le mie mani, le nostre mani si trasformino in segni di riconciliazione, di comunione, di creazione. Egli vuole le tue mani per continuare a costruire il mondo di oggi. Vuole costruirlo con te.
Per questo, amici, oggi Gesù ti invita, ti chiama a lasciare la tua impronta nella vita, un’impronta che segni la storia, che segni la tua storia e la storia di tanti.
La vita di oggi ci dice che è molto facile fissare l’attenzione su quello che ci divide, su quello che ci separa. Vorrebbero farci credere che chiuderci è il miglior modo di proteggerci da ciò che ci fa male. Oggi noi adulti – noi, adulti! – abbiamo bisogno di voi, per insegnarci – come adesso fate voi, oggi – a convivere nella diversità, nel dialogo, nel condividere la multiculturalità non come una minaccia ma come un’opportunità. E voi siete un’opportunità per il futuro. Abbiate il coraggio di insegnarci, abbiate il coraggio di insegnare a noi che è più facile costruire ponti che innalzare muri! Abbiamo bisogno di imparare questo. E tutti insieme chiediamo che esigiate da noi di percorrere le strade della fraternità. Che siate voi i nostri accusatori, se noi scegliamo la via dei muri, la via dell’inimicizia, la via della guerra. Costruire ponti: sapete qual è il primo ponte da costruire? Un ponte che possiamo realizzare qui e ora: stringerci la mano, darci la mano. Forza, fatelo adesso. Fate questo ponte umano, datevi la mano, tutti voi: è il ponte primordiale, è il ponte umano, è il primo, è il modello. Sempre c’è il rischio – l’ho detto l’altro giorno – di rimanere con la mano tesa, ma nella vita bisogna rischiare, chi non rischia non vince. Con questo ponte, andiamo avanti. Qui, questo ponte primordiale: stringetevi la mano. Grazie. E’ il grande ponte fraterno, e possano imparare a farlo i grandi di questo mondo! Che questo ponte umano sia seme di tanti altri; sarà un’impronta.
Oggi Gesù, che è la via, chiama te, te, te a lasciare la tua impronta nella storia. Lui, che è la vita, ti invita a lasciare un’impronta che riempia di vita la tua storia e quella di tanti altri. Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le strade della separazione, della divisione, del non-senso. Il Signore benedica i vostri sogni".
Abbiamo riportato ampi stralci ma vi invitiamo ad andare alla lettura di tutto il testo.
Stupefacente il momento dell'adorazione eucaristica: silenzio e preghiera... Al termine l'accensione delle fiaccole e la spianata diventa un cielo stellato. Ognuno in questo momento vive emozioni diverse, ma chi riesce ad andare in profondità vede in quella piccola luce la possibilità di incendiare il mondo con lo stesso amore di Cristo.
Un concerto accompagna il tempo prima del riposo. Nel nostro accampamento c'è chi gioca, si confronta, chiacchiera.
Uno sguardo al cielo per cogliere nonostante le luci quelle "lanterne" che da sempre ispirano i sogni e riempiono i cuori di quanti sognano una vita che non sia un buco nero.
È troppo poco dire grazie lo sappiamo, ma sappiamo anche che la gratitudine è l'umile ricchezza di chi non possiede nulla. Per questo ora non abbiamo bisogno di altro.
Grazie Signore!
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