Domenica 18 ottobre durante le Sante Messe delle 9.30 a Beregazzo e delle 11.00 a Castelnuovo abbiamo ascoltato la testimonianza dei nostri seminaristi Francesco e Samuele. Partendo dalla Parola di Dio e dalla loro storia ci hanno offerto la possibilità di riflettere sul mistero della vocazione che riguarda loro e tutti noi, che siamo alla ricerca di capire come rispondere pienamente alla chiamata del Signore.
Testimonianza del seminarista Francesco
(Gv
10,22-30)
“Fino a
quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi
apertamente!” abbiamo sentito dire da parte dei Giudei.
Forse la
loro richiesta è giustificabile, d'altronde stavano aspettando il Messia da
moltissimo tempo e come potrebbe capitare anche a noi, avevano necessariamente
bisogno di conferme. Una promessa così grande come quella preannunziata dai
profeti, non poteva passare così, semplicemente, davanti ai loro occhi.
I giudei
hanno anche molto coraggio: Gesù non è all’inizio del suo pellegrinare terreno,
del suo operato, anzi! Gesù in questa occasione è già forse più consapevole di
quegli stessi Giudei che era vicina la sua Passione. Allora mi chiedo: che
pretesa hanno questi uomini? Che pretesa abbiamo anche noi, alle volte, nei
riguardi di Gesù? Non sono bastati, non bastano gli innumerevoli segni della
potenza di Gesù nella nostra vita? No. Ma Egli stesso ne è consapevole: “beati
voi – dice – che pur non avendo visto avete creduto!”
A differenza
di quei giudei, che hanno posto questa domanda per poterlo condannare a morte,
a noi capita di chiedere incessantemente a Dio di rivelarsi, di farsi vedere ma
non per condannarlo bensì perché sentiamo il bisogno forte di affidarci a lui,
di far presente i nostri bisogni. “Signore, mostrami il tuo volto!” ci viene
spontaneo pregare.
Penso che
oggi Gesù ci chieda di fare attenzione alla cura che Lui pone sulle nostre
vite, senza troppo mettersi in mostra. Perché ciò che è importante, penso, non
è anzitutto capire chi è Dio, come funzioni o come ragioni, ma lasciare che
Egli si riveli a noi per Ciò che davvero è.
Dio non è un’idea da verificare, ma una
persona da incontrare. O meglio è una persona che vuole incontrarci. È quindi inutile fare calcoli, lasciar
prevalere la mente. È importante, invece, lasciare che il cuore si lasci
toccare. È importante che facciamo attenzione e ci lasciamo interpellare da quelle
parole che abbiamo ascoltato e che ogni giorno si presentano nella
testimonianza della Chiesa, che non sono solo i preti, le suore e i religiosi,
ma che siamo noi, ciascuno di noi. La Chiesa è la comunità di chi Ama Gesù ed è
consapevole che non facile certamente metterlo al centro, ma ci prova a costo
di metterci tutta la vita. Perché è proprio nel momento in cui Lui si fa centro
nella nostra vita, Lui che ci ha mostrato cosa significa Amare, che
all’improvviso ci accorgiamo di essere felici. Di una felicità che non passa. È
chiesto anche a ciascuno di noi di ascoltare la Sua parola e testimoniarla con
la nostra vita. Proprio come le pecore riconoscono e sanno bene chi è il loro
Pastore. Di Lui si fidano e a Lui si affidano.
Gesù non ci
perde di vista mai, anche quando la vita non è per niente quella che ci
aspettiamo.
“[Alle mie
pecore] – dice ancora – do la vita eterna e non andranno perdute in eterno e
nessuno le strapperà dalla mia mano” è una promessa che Gesù mantiene.
Anzitutto
penso che lo faccia e lo abbia fatto con me.
Sono
entrato in seminario l’anno scorso. Il mio percorso di discernimento non è
stato immediato e nemmeno lineare come ci si potrebbe aspettare. Questo forse perché
anche io ho preteso troppe volte di conoscere il volto di Dio ma, cieco di
fronte a molti segni della Sua presenza nella mia vita, non Gli ho sempre
corrisposto con attenzione e cura. Al contrario di quanto, invece, Egli ha
sempre compiuto in me e per me.
Sono nato e
cresciuto a Vignate, nella periferia est di Milano, un paesello di novemila abitanti.
Dopo gli anni delle superiori ai Salesiani di Milano, dopo essere stato seguito
in un cammino di ricerca che aveva portato anche dei buoni frutti, dopo anni di
catechesi da preadolescente, poi adolescente e quindi giovane, mentre vedevo
“scomparire” i miei coetanei che avevano condiviso con me tutti questi cammini,
solo dopo… mi sono trovato negli anni dell’università a fare i conti con il mio
vissuto. C’era qualcosa che non andava: il mio pensare mi sembrava troppo
incoerente con quanto vivevo. Credevo in Dio ma mi comportavo come se non
esistesse. Questo mi ha spinto fortemente a mettere in dubbio una Presenza che
in quel periodo di vita sembrava non avesse senso. È così che tra il primo e il
secondo anno di università mi trovai in quella che è stata una crisi importante
per la mia vita. “Importante?” voi mi direte. È stato proprio questo periodo di
frustrazione, di dubbio ed incertezza, di solitudine a farmi aprire gli occhi.
Agli
esercizi spirituali per 18-19enni ai quali ho partecipato ho conosciuto
Giuseppe, un seminarista (un caso?) che ha fatto la differenza. Affrontando la
situazione complicata in oratorio, ancor più difficile per via del cambio di
don che c’è stata in quell’anno, affrontando l’assenza per me di un vero e
proprio percorso di catechesi, Giuseppe mi ha sostenuto con la sua presenza e
il suo esempio nella ricerca di un senso alle tante e troppe esperienze di fede
che ho fatto negli anni e che improvvisamente si erano sbiadite e un po’
ingrigite. E il colore non l’ho messo io: con assiduità ho cominciato a
partecipare alla messa quotidiana, a ritrovare nelle piccole cose di ogni
giorno quella parola di Amore che ha Dio e che è Dio: “Tu sei prezioso ai miei
occhi. Ho fatto di te una meraviglia stupenda”.
Dopo aver
partecipato per un anno agli incontri del Gruppo Samuele, una proposta
diocesana per i giovani in ricerca, a Pasqua dello scorso anno ho deciso di
chiedere un colloquio al rettore. Non ho mai avuto la certezza di sapere che
ciò che stavo per fare sarebbe stata la cosa giusta per me. Ma quando ci si
fida, quando si ha anche un briciolo di fede, non conta essere sicuri. Forse
non lo sarò mai…
Entrando in
seminario ho ricevuto il dono di sessanta fratelli da custodire che, seppur con
fatica, sto imparando ad accogliere ed Amare; sono stato affidato ad educatori
che mi sostengono ed accompagnano passo dopo passo nella crescita; alle spalle
restano amici e conoscenti che mi fanno sentire stimato e ricolmo di affetto;
ci è stata affidata questa comunità della quale io e Samuele ci sentiamo parte.
Con il nostro piccolo cerchiamo di essere presenti la domenica e rendere
presente Gesù che ci accomuna, un po’ come lampade che portano la Luce. Grazie
ad essa siamo luce per il prossimo che si fa vicino.
Tra i
bambini, nelle famiglie, con chi è più fragile: per la comunità che si fa casa.
Lasciamo dunque che lo Spirito di Dio presente in ciascuno di noi e desideroso di incontrarci, possa trovare il nostro cuore accogliente ed aperto ad essere guidato da Gesù Buon Pastore sulla via della vita eterna.
Lasciamo dunque che lo Spirito di Dio presente in ciascuno di noi e desideroso di incontrarci, possa trovare il nostro cuore accogliente ed aperto ad essere guidato da Gesù Buon Pastore sulla via della vita eterna.
Testimonianza del seminarista Samuele
Riferimenti Letture: Is 26,1-2.4.7-8; 54,12-14aSal
67; 1Cor 3,9-17; Gv 10,22-30.
È sorprendente quanto la Scrittura possa dire
qualcosa alla nostra vita e aiutarci ad interpretarla e rileggerla: ne rimango
a volte deluso, a volte frastornato, ma tantissime volte, come oggi,
profondamente meravigliato. Allora in questo breve spazio vorrei recuperare qualche
aspetto decisivo che mi è parso di cogliere nelle letture della festa liturgica
che oggi celebriamo, la festa della dedicazione del duomo di Milano, ma che
soprattutto ha riguardato la mia vita e la mia scelta di entrare in Seminario.
Innanzitutto il primo aspetto da recuperare è la
dimensione totalizzante della fede. Essa, come ci richiama il luogo di culto in
sé, come il tempio di Gerusalemme del Vangelo e oggi la dedicazione del Duomo,
è segno della nostra disposizione di rivolgerci a Dio, in quello slancio
verticale verso il cielo, che è non solo architettonico, ma anche dell’anima.
Eppure la dimensione propria della fede non è solamente questo “Alzare gli
verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto?” – per citare il salmo 121 –: bisogna
custodire lo sviluppo orizzontale che ci dice che non siamo soli, che la fede è
comunione di una comunità, come questa, che celebra dentro il tempio, che ci
rende consapevoli che gli altri sono Tempio di Dio, come ci ricorda Paolo nella
seconda Lettura.
In secondo luogo – provando a riassumere i tanti
altri elementi che si potrebbero evincere - il tempio, ma più in generale la
comunità, è lo spazio per le domande decisive sulla vita: “Fino a quando ci
terrai nell’incertezza? Dicci apertamente, se tu sei il Cristo.”
Il terzo e ultimo aspetto è che il cristiano è
colui che è libero di scegliere se voler esser parte del gregge ed in libertà
può costruire il proprio Tempio, basato sul fondamento che è Gesù Cristo.
Potrebbero sembrare cose banali, scontate, eppure
hanno avuto un’importanza fondamentale nel mio percorso.
Io sono nato 25 anni fa e ho sempre vissuto a
Cinisello Balsamo. Ho avuto il dono di avere una famiglia che mi ha educato
alla libertà, al servizio e alla fede; e non solo grazie a mamma e papà a
cominciare dalle loro scelte lavorative, l’una per i salesiani e l’altro per i
missionari del PIME, ma anche grazie alla presenza indiscutibilmente importante
di mio fratello Simone. In breve, ho frequentato elementari e medie
rispettivamente da suore e preti salesiani e ho sempre frequentato l’oratorio,
dal catechismo ai gruppi preadolescenti, adolescenti, 18enni e giovani (che in
questa comunità ripartono quest’anno). Ho avuto la Grazia di fare 2 anni il
catechista e poi anche l’educatore prima per 5 anni ai preadolescenti e poi 2
anni agli adolescenti, senza contare la fortuna di poter fare l’allenatore di
calcio a una quindicina di ragazzi nella società dell’oratorio, in cui pure ho
giocato fino all’ingresso in seminario. Scolasticamente, mi sono diplomato al
liceo classico e poi laureato in ingegneria meccanica lo scorso anno.
Eppure nel fare queste cose ero molto inquadrato e
rigido nei miei schemi mentali, davo il mio assenso di fede a livello morale e
intellettuale, a tratti fideistico, arrivando spesso con superficialità a fare
quasi tutto perché così era giusto e perché così si doveva fare. Ed ecco un
grande balzo innanzi nel mio cammino: nel 2011 sono andato con il PIME alla GMG
a Madrid, facendo prima un pellegrinaggio a piedi a partire da Avila. Questo è
stato il momento in cui la mia fede è diventata entusiasmo e gioia del Vangelo e
condivisione profonda perché ho iniziato a comprendere come si possa
effettivamente fare esperienza di Dio tutti i giorni attraverso l’incontro con
chi il Signore ti mette a fianco. E allora il mio slancio verticale del cuore e
della mente è diventato col tempo capace di essere nella realtà un passo in
orizzontale, incontro al fratello, facendo assumere alle relazioni un ruolo
decisivo nella possibilità di concretizzare ciò che pensavo. Da qui poi ho
cominciato anche a seguire come educatore il cammino adolescenti che il PIME
propone. E qui ecco ripreso il primo punto.
Ma come detto prima, la comunità è lo spazio delle
domande decisive sulla vita. Agli esercizi spirituali 18enni proposti dalla
diocesi ci è stato chiesto quale fosse in nostro desiderio fondamentale, quello
che guidava tutte le nostre azioni. Io da giovinotto spavaldo e anche un po’
superbo avevo risposto che il mio desiderio era essere il migliore in tutto ciò
che facevo. Poi negli anni e piano piano, insieme alla mia guida spirituale,
don Davide, l’ho trasformato in “dare il meglio”, per poi cercare di capire il
come e il dove dare il mio meglio per tutta la vita e da qui l’emergere della
mia scelta di entrare in seminario. Secondo punto.
Si potrebbe obiettare che era dura essere scontento
della vita che conducevo ed in effetti era così. Eppure mancava qualcosa, quel
“di più” che rende pienezza ciò che vivi. E quando ho cominciato a chiedermi
quale potesse essere questo qualche cosa che mancava e la risposta che emergeva
era la radicalità per il Signore, ho verificato con un cammino vocazionale i
“salti di qualità” che questa potesse essere la mia scelta di vita, il luogo
per dare il meglio di me stesso in vista del “di più che è il Signore”. E così,
in libertà, ho scelto di entrare in seminario, per continuare a costruire il
mio Tempio sul fondamento che è Gesù Cristo. Punto tre.
La brevità di questo racconto non implica che sia
stato e sia tutto facile, perché ho fatto scelte complicate e faticose, perché
ora la vita è diversa e non posso dedicarmi a tutto ciò che facevo prima e sono
cambiate le relazioni con parenti e amici, che però continuano a custodirmi
anche se in modalità differente, ed è cambiato tanto altro. Ma, come mi ha
confermano questo primo anno di seminario in cui ho camminato insieme ai miei
fratelli e la Grazia di essere stato accolto da questa comunità e da don
Roberto insieme a Francesco per il secondo anno dopo un’estate, per quel che mi
riguarda, a dir poco incredibile e eccezionale, ne vale la pena perché il
Signore è il di più che cercavo e desideravo.
E con tanto affetto e gratitudine porto tutti voi al
Signore nella mia preghiera, e vi chiedo di fare lo stesso per Francesco e per
me.
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