martedì 15 novembre 2016

Martedì 15 novembre 2016

"Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, 
sarà simile a un uomo saggio, 
che ha costruito la sua casa sulla roccia."
Mt 7,24

Casa sulla roccia - Fiume Drina, Serbia
Avviandosi alla conclusione del discorso, Matteo sviluppa una contrapposizione a diversi livelli. C’è chi parla continuamente di Dio (“Signore, Signore”), ma poi dimentica di fare la sua volontà. C’è chi si illude di lavorare per il Signore (“Abbiamo profetato… abbiamo scacciato…”) ma poi si scoprirà, nel giorno del rendiconto, di essergli sconosciuto (“Non vi ho mai conosciuto”).
Con queste parole Gesù denuncia una dissociazione nella vita dell’uomo: da una parte c’è l’uomo che ascolta, riflette, discute, programma; dall’altra, l’uomo che dimentica di agire, di applicare i programmi. C’è il rischio di una preghiera (“Signore, Signore”) che non si traduce in vita e in impegno (“la volontà di Dio”). C’è il rischio di un ascolto della Parola che non diventa mai qualcosa di operante e di pratico. La radice di questa dissociazione è il tentativo di salvare l’obbedienza a Dio e di sottrarsi, nel contempo, all’esigenza di conversione che essa comporta. Non sentendosi sicuro all’ombra della parola di Dio, l’uomo continua a cercare la propria sicurezza in se stesso e nella realtà del mondo. A Dio la preghiera e la meditazione, ai nostri interessi il resto della vita. E’ un tentativo goffo per servire  due padroni. E’ dalla vita quotidiana che si deduce se abbiamo o no un solo padrone, è dalla vita quotidiana che si comprende quale sia davvero il nostro Signore. L’intero discorso si conclude col paragone delle due case (7, 24-27). La roccia che dà stabilità è Jahwè, la parola di Dio, la fede, il Messia. Il discepolo deve appoggiarsi a Cristo (la roccia), l’unico capace di rendere incrollabile la fede del discepolo, di sottrarla alla fragilità. Il progetto cristiano non può contare sulle nostre forze, ma unicamente sull’amore di Dio. E’ nella forza di Dio che l’uomo trova la sua consistenza. Non c’è vera fede senza impegno morale. La preghiera e l’azione, l’ascolto e la pratica sono ugualmente importanti.
L’evangelista termina il discorso osservando che le folle restavano stupite di fronte alle parole di Gesù, (7, 28-29) perché egli insegnava con autorità, e non come gli scribi. L’autorità degli scribi era basata sulla tradizione: lo scriba era preoccupato di ripetere fedelmente l’insegnamento tradizionale e di mostrare che il suo stesso commento scaturiva dalla tradizione ed era in armonia con essa. Gesù, invece, non insegnava come uno scriba ma come un profeta: Gesù ha un mandato dal Padre di insegnare, un mandato che gli scribi non hanno. Egli manifesta chiaramente questo mandato, e la gente ne è stupita. Il discorso della Montagna non è un codice completo di etica cristiana. Ci sono, infatti, nel Nuovo Testamento numerose direttive di morale cristiana che non si trovano in questo  discorso. In effetti non esiste alcun brano del NT che contenga un codice completo e sistematico di condotta. La rivoluzione morale cristiana consiste in un ri-orientamento dei valori.
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