giovedì 29 ottobre 2015

Testimonianze dei nostri seminaristi Francesco e Samuele

Domenica 18 ottobre durante le Sante Messe delle 9.30 a Beregazzo e delle 11.00 a Castelnuovo abbiamo ascoltato la testimonianza dei nostri seminaristi Francesco e Samuele. Partendo dalla Parola di Dio e dalla loro storia ci hanno offerto la possibilità di riflettere sul mistero della vocazione che riguarda loro e tutti noi, che siamo alla ricerca di capire come rispondere pienamente alla chiamata del Signore.




Testimonianza del seminarista Francesco
(Gv 10,22-30)

“Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente!” abbiamo sentito dire da parte dei Giudei.
Forse la loro richiesta è giustificabile, d'altronde stavano aspettando il Messia da moltissimo tempo e come potrebbe capitare anche a noi, avevano necessariamente bisogno di conferme. Una promessa così grande come quella preannunziata dai profeti, non poteva passare così, semplicemente, davanti ai loro occhi.
I giudei hanno anche molto coraggio: Gesù non è all’inizio del suo pellegrinare terreno, del suo operato, anzi! Gesù in questa occasione è già forse più consapevole di quegli stessi Giudei che era vicina la sua Passione. Allora mi chiedo: che pretesa hanno questi uomini? Che pretesa abbiamo anche noi, alle volte, nei riguardi di Gesù? Non sono bastati, non bastano gli innumerevoli segni della potenza di Gesù nella nostra vita? No. Ma Egli stesso ne è consapevole: “beati voi – dice – che pur non avendo visto avete creduto!”
A differenza di quei giudei, che hanno posto questa domanda per poterlo condannare a morte, a noi capita di chiedere incessantemente a Dio di rivelarsi, di farsi vedere ma non per condannarlo bensì perché sentiamo il bisogno forte di affidarci a lui, di far presente i nostri bisogni. “Signore, mostrami il tuo volto!” ci viene spontaneo pregare.
Penso che oggi Gesù ci chieda di fare attenzione alla cura che Lui pone sulle nostre vite, senza troppo mettersi in mostra. Perché ciò che è importante, penso, non è anzitutto capire chi è Dio, come funzioni o come ragioni, ma lasciare che Egli si riveli a noi per Ciò che davvero è.
Dio non è un’idea da verificare, ma una persona da incontrare. O meglio è una persona che vuole incontrarci. È quindi inutile fare calcoli, lasciar prevalere la mente. È importante, invece, lasciare che il cuore si lasci toccare. È importante che facciamo attenzione e ci lasciamo interpellare da quelle parole che abbiamo ascoltato e che ogni giorno si presentano nella testimonianza della Chiesa, che non sono solo i preti, le suore e i religiosi, ma che siamo noi, ciascuno di noi. La Chiesa è la comunità di chi Ama Gesù ed è consapevole che non facile certamente metterlo al centro, ma ci prova a costo di metterci tutta la vita. Perché è proprio nel momento in cui Lui si fa centro nella nostra vita, Lui che ci ha mostrato cosa significa Amare, che all’improvviso ci accorgiamo di essere felici. Di una felicità che non passa. È chiesto anche a ciascuno di noi di ascoltare la Sua parola e testimoniarla con la nostra vita. Proprio come le pecore riconoscono e sanno bene chi è il loro Pastore. Di Lui si fidano e a Lui si affidano.
Gesù non ci perde di vista mai, anche quando la vita non è per niente quella che ci aspettiamo.
“[Alle mie pecore] – dice ancora – do la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano” è una promessa che Gesù mantiene.
Anzitutto penso che lo faccia e lo abbia fatto con me.
Sono entrato in seminario l’anno scorso. Il mio percorso di discernimento non è stato immediato e nemmeno lineare come ci si potrebbe aspettare. Questo forse perché anche io ho preteso troppe volte di conoscere il volto di Dio ma, cieco di fronte a molti segni della Sua presenza nella mia vita, non Gli ho sempre corrisposto con attenzione e cura. Al contrario di quanto, invece, Egli ha sempre compiuto in me e per me.
Sono nato e cresciuto a Vignate, nella periferia est di Milano, un paesello di novemila abitanti. Dopo gli anni delle superiori ai Salesiani di Milano, dopo essere stato seguito in un cammino di ricerca che aveva portato anche dei buoni frutti, dopo anni di catechesi da preadolescente, poi adolescente e quindi giovane, mentre vedevo “scomparire” i miei coetanei che avevano condiviso con me tutti questi cammini, solo dopo… mi sono trovato negli anni dell’università a fare i conti con il mio vissuto. C’era qualcosa che non andava: il mio pensare mi sembrava troppo incoerente con quanto vivevo. Credevo in Dio ma mi comportavo come se non esistesse. Questo mi ha spinto fortemente a mettere in dubbio una Presenza che in quel periodo di vita sembrava non avesse senso. È così che tra il primo e il secondo anno di università mi trovai in quella che è stata una crisi importante per la mia vita. “Importante?” voi mi direte. È stato proprio questo periodo di frustrazione, di dubbio ed incertezza, di solitudine a farmi aprire gli occhi.
Agli esercizi spirituali per 18-19enni ai quali ho partecipato ho conosciuto Giuseppe, un seminarista (un caso?) che ha fatto la differenza. Affrontando la situazione complicata in oratorio, ancor più difficile per via del cambio di don che c’è stata in quell’anno, affrontando l’assenza per me di un vero e proprio percorso di catechesi, Giuseppe mi ha sostenuto con la sua presenza e il suo esempio nella ricerca di un senso alle tante e troppe esperienze di fede che ho fatto negli anni e che improvvisamente si erano sbiadite e un po’ ingrigite. E il colore non l’ho messo io: con assiduità ho cominciato a partecipare alla messa quotidiana, a ritrovare nelle piccole cose di ogni giorno quella parola di Amore che ha Dio e che è Dio: “Tu sei prezioso ai miei occhi. Ho fatto di te una meraviglia stupenda”.
Dopo aver partecipato per un anno agli incontri del Gruppo Samuele, una proposta diocesana per i giovani in ricerca, a Pasqua dello scorso anno ho deciso di chiedere un colloquio al rettore. Non ho mai avuto la certezza di sapere che ciò che stavo per fare sarebbe stata la cosa giusta per me. Ma quando ci si fida, quando si ha anche un briciolo di fede, non conta essere sicuri. Forse non lo sarò mai…
Entrando in seminario ho ricevuto il dono di sessanta fratelli da custodire che, seppur con fatica, sto imparando ad accogliere ed Amare; sono stato affidato ad educatori che mi sostengono ed accompagnano passo dopo passo nella crescita; alle spalle restano amici e conoscenti che mi fanno sentire stimato e ricolmo di affetto; ci è stata affidata questa comunità della quale io e Samuele ci sentiamo parte. Con il nostro piccolo cerchiamo di essere presenti la domenica e rendere presente Gesù che ci accomuna, un po’ come lampade che portano la Luce. Grazie ad essa siamo luce per il prossimo che si fa vicino.
Tra i bambini, nelle famiglie, con chi è più fragile: per la comunità che si fa casa.
Lasciamo dunque che lo Spirito di Dio presente in ciascuno di noi e desideroso di incontrarci, possa trovare il nostro cuore accogliente ed aperto ad essere guidato da Gesù Buon Pastore sulla via della vita eterna.    


Testimonianza del seminarista Samuele
Riferimenti Letture: Is 26,1-2.4.7-8; 54,12-14aSal 67; 1Cor 3,9-17; Gv 10,22-30.

È sorprendente quanto la Scrittura possa dire qualcosa alla nostra vita e aiutarci ad interpretarla e rileggerla: ne rimango a volte deluso, a volte frastornato, ma tantissime volte, come oggi, profondamente meravigliato. Allora in questo breve spazio vorrei recuperare qualche aspetto decisivo che mi è parso di cogliere nelle letture della festa liturgica che oggi celebriamo, la festa della dedicazione del duomo di Milano, ma che soprattutto ha riguardato la mia vita e la mia scelta di entrare in Seminario.
Innanzitutto il primo aspetto da recuperare è la dimensione totalizzante della fede. Essa, come ci richiama il luogo di culto in sé, come il tempio di Gerusalemme del Vangelo e oggi la dedicazione del Duomo, è segno della nostra disposizione di rivolgerci a Dio, in quello slancio verticale verso il cielo, che è non solo architettonico, ma anche dell’anima. Eppure la dimensione propria della fede non è solamente questo “Alzare gli verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto?” – per citare il salmo 121 –: bisogna custodire lo sviluppo orizzontale che ci dice che non siamo soli, che la fede è comunione di una comunità, come questa, che celebra dentro il tempio, che ci rende consapevoli che gli altri sono Tempio di Dio, come ci ricorda Paolo nella seconda Lettura.
In secondo luogo – provando a riassumere i tanti altri elementi che si potrebbero evincere - il tempio, ma più in generale la comunità, è lo spazio per le domande decisive sulla vita: “Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Dicci apertamente, se tu sei il Cristo.”
Il terzo e ultimo aspetto è che il cristiano è colui che è libero di scegliere se voler esser parte del gregge ed in libertà può costruire il proprio Tempio, basato sul fondamento che è Gesù Cristo.
Potrebbero sembrare cose banali, scontate, eppure hanno avuto un’importanza fondamentale nel mio percorso.
Io sono nato 25 anni fa e ho sempre vissuto a Cinisello Balsamo. Ho avuto il dono di avere una famiglia che mi ha educato alla libertà, al servizio e alla fede; e non solo grazie a mamma e papà a cominciare dalle loro scelte lavorative, l’una per i salesiani e l’altro per i missionari del PIME, ma anche grazie alla presenza indiscutibilmente importante di mio fratello Simone. In breve, ho frequentato elementari e medie rispettivamente da suore e preti salesiani e ho sempre frequentato l’oratorio, dal catechismo ai gruppi preadolescenti, adolescenti, 18enni e giovani (che in questa comunità ripartono quest’anno). Ho avuto la Grazia di fare 2 anni il catechista e poi anche l’educatore prima per 5 anni ai preadolescenti e poi 2 anni agli adolescenti, senza contare la fortuna di poter fare l’allenatore di calcio a una quindicina di ragazzi nella società dell’oratorio, in cui pure ho giocato fino all’ingresso in seminario. Scolasticamente, mi sono diplomato al liceo classico e poi laureato in ingegneria meccanica lo scorso anno.
Eppure nel fare queste cose ero molto inquadrato e rigido nei miei schemi mentali, davo il mio assenso di fede a livello morale e intellettuale, a tratti fideistico, arrivando spesso con superficialità a fare quasi tutto perché così era giusto e perché così si doveva fare. Ed ecco un grande balzo innanzi nel mio cammino: nel 2011 sono andato con il PIME alla GMG a Madrid, facendo prima un pellegrinaggio a piedi a partire da Avila. Questo è stato il momento in cui la mia fede è diventata entusiasmo e gioia del Vangelo e condivisione profonda perché ho iniziato a comprendere come si possa effettivamente fare esperienza di Dio tutti i giorni attraverso l’incontro con chi il Signore ti mette a fianco. E allora il mio slancio verticale del cuore e della mente è diventato col tempo capace di essere nella realtà un passo in orizzontale, incontro al fratello, facendo assumere alle relazioni un ruolo decisivo nella possibilità di concretizzare ciò che pensavo. Da qui poi ho cominciato anche a seguire come educatore il cammino adolescenti che il PIME propone. E qui ecco ripreso il primo punto.
Ma come detto prima, la comunità è lo spazio delle domande decisive sulla vita. Agli esercizi spirituali 18enni proposti dalla diocesi ci è stato chiesto quale fosse in nostro desiderio fondamentale, quello che guidava tutte le nostre azioni. Io da giovinotto spavaldo e anche un po’ superbo avevo risposto che il mio desiderio era essere il migliore in tutto ciò che facevo. Poi negli anni e piano piano, insieme alla mia guida spirituale, don Davide, l’ho trasformato in “dare il meglio”, per poi cercare di capire il come e il dove dare il mio meglio per tutta la vita e da qui l’emergere della mia scelta di entrare in seminario. Secondo punto.
Si potrebbe obiettare che era dura essere scontento della vita che conducevo ed in effetti era così. Eppure mancava qualcosa, quel “di più” che rende pienezza ciò che vivi. E quando ho cominciato a chiedermi quale potesse essere questo qualche cosa che mancava e la risposta che emergeva era la radicalità per il Signore, ho verificato con un cammino vocazionale i “salti di qualità” che questa potesse essere la mia scelta di vita, il luogo per dare il meglio di me stesso in vista del “di più che è il Signore”. E così, in libertà, ho scelto di entrare in seminario, per continuare a costruire il mio Tempio sul fondamento che è Gesù Cristo. Punto tre.
La brevità di questo racconto non implica che sia stato e sia tutto facile, perché ho fatto scelte complicate e faticose, perché ora la vita è diversa e non posso dedicarmi a tutto ciò che facevo prima e sono cambiate le relazioni con parenti e amici, che però continuano a custodirmi anche se in modalità differente, ed è cambiato tanto altro. Ma, come mi ha confermano questo primo anno di seminario in cui ho camminato insieme ai miei fratelli e la Grazia di essere stato accolto da questa comunità e da don Roberto insieme a Francesco per il secondo anno dopo un’estate, per quel che mi riguarda, a dir poco incredibile e eccezionale, ne vale la pena perché il Signore è il di più che cercavo e desideravo.
E con tanto affetto e gratitudine porto tutti voi al Signore nella mia preghiera, e vi chiedo di fare lo stesso per Francesco e per me.

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